C'è tempo per pensare viaggiando da soli. Proprio per questo spaventa.
Sono diretto a Tenerife, in traghetto. Da tre giorni sono solo sulle isole Canarie. Non conosco la lingua, né in fondo ho voglia di impegnarmi comunicando in inglese. Per le necessità bastano i gesti e poche parole.
Scopro però di parlare moltissimo, tra me e me, di dare voce ai molti personaggi che mi abitano. Dicono che chi parla da solo sia matto. Ma vale per il parlare ad alta voce non per le chiacchiere tra sé e sé.
Ho dovuto cercare per tutta la nave una sala senza televisori. Ne ho trovata una, col televisore spento - forse guasto. Sono solo qui. Nelle altre sale c'è gente che parla, molta che dorme. Hanno preferito il sottofondo rassicurante di una qualche trasmissione televisiva.
Ma nel silenzio ci si osserva meglio.
Gran Canaria è ancora all'orizzonte. Non sono su una nave veloce. Tre giorni fa, appena atterrato, sono stato attratto dalle dune di Maspalomas. Belle. Peccato siano circondate da una città/villaggio turistico. Camminando per le vie che collegano un centro commerciale all'altro, un residence ad un albergo, in un ininterrotto susseguirsi, il mio passo accelera fin quasi ad una corsa. Gli hotel sono pieni il che fa uno strano contrasto con la spiaggia e le strade scarsamente popolate. Per il resto la città non è distinguibile dalle tante nate dal niente ad uso turistico. Questa è frequentata da tedeschi anziani e omosessuali di ogni nazione e età. Altre che ho visto da famiglie o ragazzini. Per tutti gli stessi divertimenti di plastica e cibi internazionali.
Le persone che incrocio sembrano trovarvisi bene. Così cammino, cerco, esploro ogni angolo. Il giorno dopo sono sull'autobus per Las Palmas de Gran Canaria. Prima però una rapida visita a Playa de Mogán. Le brochure locali la chiamano la Piccola Venezia. Evidentemente non sono mai stati a Venezia. Innegabile tuttavia che ci sia un clima meraviglioso e che tra le strade intorno al porto il canto degli uccelli sostituisca la colonna sonora delle radio dei negozi.
Oltre questa piccola oasi la costa sud di Gran Canaria riprende il suo susseguirsi di residence, vecchi tedeschi e centri commerciali.
Superate le spiagge l'autobus si distacca dalla costa e attraversa alcuni centri abitati. I passeggeri adesso sono per lo più residenti. Dal finestrino vedo abitazioni, bar, fruttivendoli, ferramenta. Dal sorriso che sento affiorare capisco a cosa era dovuto il mio disagio. Nelle città/villaggio turistico non ci sono case. Ci sono residence, grandi viali, centri commerciali, giardini, parchi e piazze. Ma non case, non luoghi abitati, vissuti, amati, sofferti. Anche l'urbanistica è di plastica, progettata da architetti ignari dei suoi aspetti vitali.
Continuo a sorridere attraversando la periferia di Las Palmas e poi ancora tra le strade di Santa Catalina. Il quartiere affaccia sulla spiaggia di Las Cantaras: alberghi, abitazioni, negozi indiani, buffet cinesi, gelaterie. La spiaggia è piacevole, il luogo è vivo.
Si dice che partire sia in fondo fuggire. Si dice anche che fuggendo si porti con sé se stessi, i propri occhi, il proprio sguardo sul mondo e, con ciò, anche quanto volevamo fuggire. Eppure viaggiare porta personalità diverse ad emergere. Sono sempre io, ma non lo stesso io che a Firenze si sveglia ed accende il computer.
Abbiamo personalità multiple - la psicologia lo sa da tempo. Gli occhi sono gli stessi, lo sguardo è già diverso.
Santa Cruz si sviluppa intorno al porto. Un grande porto che rende il primo approccio non molto piacevole. Tra le strade della città la sensazione si scioglie rapidamente per dissolversi del tutto arrivato al mercato di Nuestra Señora de África: fiori, pesce, frutta, carni e delle ottime patate ripiene con un impasto di riso, carne e piselli di cui ignoro il nome. Vino, sorrisi e calore.
Trascorro così un paio d'ore. Poi prendo il pullman diretto a El Medano.
La mia guida parla di un ex paesino di pescatori divenuto località amata dai surfisti per il vento costante. Ha quasi ragione. Del paesino di pescatori non c'è traccia ma al suo posto trovo un delizioso insieme di "tascas" (osterie), pub e negozietti; una spiaggia stupenda, una passeggiata curata e un'atmosfera tranquilla.
Anche i commenti su booking relativi all'ostello che ho scelto avevano ragione: pulito, economico e personale gentilissimo.
Sfidando il vento incessante raggiungo la spiaggia in direzione di un promontorio oltre il quale c'è un anfratto riparato. Qui per la prima volta avverto la mancanza di una compagnia. Non di una compagnia qualsiasi però.
Sono rimasto un altro giorno a El Medano. Ieri sera ho cenato nella "tasca" accanto all'hotel. Un aroma di brace accoglie chi entra, e la carne che vi viene cucinata rende piena giustizia al profumo. Non hanno un menù e poiché non capivo l'oste mi ha portato a scegliere in cucina.
Anche stasera, contro la mia abituale curiosità di cambiare, cenerò qui. Sembra che oggi la scelta sia solo tra zuppa, pollo, cinghiale e patate.
Riguardo alla compagnia ci ho pensato. Talvolta va bene chiunque. Altre volte solo alcuni amici. Oppure desidero la compagna di una vita, o quella di una sera; una situazione tranquilla o una molto perversa. È la stessa persona che sta desiderando?
Ho vissuto le esperienze che ho saputo desiderare e ho imparato che molte di esse non pagano ciò che promettono. Adesso, mentre scrivo, cambierei la mia solitudine solo con la tenerezza di un abbraccio. Lo stesso abbraccio che una coppia si scambiava ieri per proteggersi dal vento. Un abbraccio così però non si scambia con tutti, richiede arte e attenzione. Forse le stesse necessarie a cucinare il cinghiale alla brace che ho appena mangiato. Forse le stesse necessarie a fare bene qualunque cosa.
Stamani ho rotto il silenzio. In francese con una signora che mi raccontava il suo progetto di trasferirsi a El Medano. Bruxelles è troppo cara, lei è sola, non ha più famiglia, ha pochi amici e - aggiungo io - ha tanto coraggio. Ha venduto tutto ciò che possedeva in Belgio e adesso è qui a cercare un appartamento in affitto con vista mare. Le ho augurato buona fortuna.
Avevo in programma di prendere l'autobus per Puerto de la Cruz. Ma è nuvoloso, ho preferito tornare a Santa Cruz e da lì salire sul traghetto per Gran Canaria.
Ho esplorato i quartieri di Vegueta e Triana. Privi di spiaggia ma ricchi di storia, di palazzi, chiese, di vita e di bei locali. Tanto è difficile trovare un ristorante dall'aria decente a Santa Catalina, quanto qui c'è l'imbarazzo della scelta. Si respira l'aria di una vera città europea.
Anche oggi è nuvoloso. Sulla spiaggia è freddo e in albergo mi annoio. Domani mattina un volo Ryanair mi riporterà in Italia.
Le due capitali sono piacevoli come molte città europee. Alcune località minori sono accoglienti. Le grandi città/villaggio sanno di plastica. La gente locale, ad eccezione dei posti troppo turistici, è molto gentile, peccato che solo chi lavora col turismo parli inglese. Le spiagge naturali sono poche, per lo più sono artificiali, realizzate con milioni di sacchi di sabbia portata dal Sahara.
Il clima mite è la principale attrattiva. Ma il bagno nell'oceano qui è attività per tedeschi, non per esseri umani. Il sole non è assicurato neppure dove lo pubblicizzano come tale e troppo spesso il vento è eccessivo. Talvolta stare sul mare diventa pertanto difficile.
Non escludo però che in un qualche prossimo freddo inverno fiorentino tornerò a desiderare questi 22 gradi a quattro ore di volo e con tutte le comodità europee.
Quanto a viaggiare da solo non è questa la mia prima volta. Ogni volta è diverso. Spesso è stato un modo per conoscere molta gente. A volte è stato un ripiego, altre volte una scelta.
Sono partito con aspettative differenti che il viaggio ha modificato. Forse per via di tutto questo vento che spazza via anche i pensieri.
Ogni vero viaggio è in fondo un viaggio attraverso se stessi. Mi accingo a rientrare: lo stesso e un altro al contempo.
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