12 apr 2014

katana


La katana scivola lentamente nella saya, la mano stringe la seta dell'impugnatura. Davanti ai suoi allievi la lezione si conclude con un inchino. Come ogni sera, da molti anni. Attende nella penombra; uno ad uno, in silenzio, si accomiatano; solo il più giovane non esce, guarda rispettosamente il tatami quando domanda: - maestro, cosa la turba?

Non si era accorto della sua presenza: da ciò comprende quanto il suo allievo abbia ragione. Lo incoraggia con lo sguardo a seguirlo, nessun rimprovero per questa impertinenza: - vieni, stasera beviamo insieme del sake.

Il vero nemico di un samurai è se stesso. L'avversario ha il ruolo di mostrare i tuoi limiti, ma tu combatti con la tua paura di morire. Questo insegnava da molti anni: - ho paura, amico mio.

Nel giardino si intravede la luna, parzialmente coperta da una grande magnolia. Inginocchiati l'uno di fronte all'altro attendono che nella tokkuri il sake raggiunga la giusta temperatura. Le parole sono ancora lì, sospese in mezzo a loro: non lo aveva mai chiamato "amico mio". A questo pensa orgoglioso.

Il maestro pensa al coraggio del suo allievo, ed a come lui, così bravo nell'insegnarlo, abbia potuto scordarne la pratica. Un tempo aveva superato la paura della morte. Oggi la simula con comodi trucchi che sempre più mostrano la loro natura: - ho paura, amico mio, ho fallito, dovrei impugnare la mia katana un'ultima volta volgendola al mio ventre; ma anche di questo ho paura.

La natura umana è cattiva, un allievo che non sapesse dominarla gioirebbe in cuor suo di questa debolezza. O si pentirebbe di avere riposto fiducia nel suo maestro. Guardandolo fisso negli occhi risponde: - lei sa riconoscere la paura, l'ha sconfitta una volta e saprà rifarlo.

I due uomini portano alle labbra le tazze di sake caldo. Nessuna traccia di incertezza nelle parole dell'allievo, nessuna derisione, nessun compatimento. No, non può deluderlo, nessun harakiri saprebbe lavare l'onta di ciò.

Restano a lungo in silenzio. Poi con un inchino si salutano.

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