10 ago 2017

It from bit


Il titolo di questo post è una celebre frase di John Archibald Wheeler (fisico statunitense), nella quale il "bit", unità di misura informatica, viene posto alla base di ogni cosa (it). Si tratta di un principio cardine per la filosofia digitale, chiamata anche fisica digitale. "Filosofia" perché la disciplina si pone l'obiettivo di comprendere la natura ontologica della realtà tramite tesi ardite che spaziano dal postulare l'esistenza di un supercomputer esterno all'universo nel quale "giri" la nostra realtà, al teorizzare che l'universo calcoli se stesso per mezzo di semplici regole simili a quelle con cui si sviluppano gli automi cellulari, fino ad ipotizzare la sostanziale equivalenza tra informazione, massa e energia; "fisica" perché ognuna di queste teorie si poggia saldamente sulle più recenti scoperte della fisica.

La materia è complessa e per una sua divulgazione rimando ad altre fonti, magari iniziando da Wikipedia, o da qualche articolo in rete, per poi leggersi qualche buon libro; io traccerò solo qualche breve pennellata utile per avvicinarsi alle mie riflessioni conclusive.

La nascita ed il diffondersi dell'informatica ha contribuito ad estendere il significato del termine "informazione", dagli specifici significati che assume in diversi contesti (come "notizia" nel giornalismo, o "caratteri ereditabili" in genetica), a quello più ampio di "contenuto di un qualsiasi messaggio" (trasmesso tramite qualsiasi mezzo, intenzionalmente o meno); forse anche grazie alla capacità del computer stesso di trattare con la stessa base teorica e fisica contenuti tra loro così diversi. Altresì ha mostrato che informazioni di tipo diverso possono essere ridotte ad elementi costituenti comuni (anche essi informazione) ed in tal modo computati.

Come è ben noto un computer converte immagini, testi, suoni e quant'altro in una rappresentazione binaria per poi computare i bit risultanti sfruttando alcune proprietà fisiche del silicio e le regole dell'algebra booleana. Non troviamo pertanto niente da ridire su questa specifica realizzazione della macchina di Turing cui siamo oramai da tempo abituati. Una macchina di Turing tuttavia, è utile ricordarlo, è un modello astratto di macchina calcolante, che non prevede un'unica tipologia di implementazione. Ed infatti sono macchine di Turing, ma di concezione assai diversa, sia i già esistenti computer quantistici, sia i primi risultati ottenuti di computer a DNA, sui quali tornerò a breve.

Sebbene sia stato dimostrato che l'elaborazione dell'informazione possa avvenire sfruttando mezzi diversi da quelli con cui sto scrivendo, abitualmente si considera pur sempre tale elaborazione come una simulazione della realtà (al più spingendosi ad ipotizzare che tutta la nostra percezione sia frutto di un'immensa simulazione). Ad affiancare e corroborare questa visione basata in primo luogo sul buon senso c'è la nozione scientifica che la realtà sia continua (analogica) e non discreta (digitale) e che pertanto una sua versione digitale (discreta) possa essere al più una sua rappresentazione, per quanto buona o perfino indistinguibile.

In termini puramente logici si potrebbe estendere la computazione binaria ad una rappresentazione probabilistica basata sulla logica fuzzy (che anche in questo caso ha trovato un'applicazione), oppure ricorrere ad una base non binaria, per quanto pur sempre discreta. Tuttavia l'obiezione di fondo che la realtà, contrariamente alla rappresentazione, sia continua e non discreta, più che da ipotesi logiche sembra essere incrinata dai risultati della fisica quantistica per la quale la realtà ultima costituente la materia appare come discreta; consentendo di supporre che in ultima analisi sia la rappresentazione della realtà ad essere continua e la realtà ad essere discreta.

Se la realtà di cui sono fatte tutte le cose è discreta, tutto ha virtualmente la premessa all'essere un calcolatore - ragiona la filosofia digitale. Ed in questa direzione confluiscano anche studi che non si preoccupano di tesi ontologiche, come la biologia che rappresenta il DNA come un database utilizzato dalla cellula per la replicazione di sé stessa, la cui espressione è mediata da fattori epigenetici in una interazione geni-ambiente. Questa non è forse una computazione? Di più, gli stessi filamenti di DNA, alla base della vita, come già accennato, sono stati dimostrati adatti alla computazione e già stati manipolati in primi rudimentali - ma spettacolari! - progetti come quello applicato al gioco degli scacchi della ricercatrice Laura Landweber.

Riassumiamo: sia materiale inorganico come il silicio, sia organico come il DNA è stato utilizzato come base fisica della computazione; la base stessa della materia sembra essere discreta. Ciò rende plausibili le parole degli autori italiani Giuseppe Longo e Andrea Vaccaro, "tutto computa, tutto è frutto della computazione e tutto può essere trasformato in un dispositivo computante". Ancora oltre alcuni autori ipotizzano che la ben nota equivalenza tra massa ed energia (E = mc2) possa essere ampliata ad una sostanziale equivalenza di massa, energia e informazione.

Ma fermiamoci qui, non importa andare oltre per le considerazioni che da queste premesse intendo trarre. Nella seconda parte.

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