7 gen 2018

La mia esperienza di Vipassana e Nobile Silenzio





 - Innanzitutto iniziamo dal capire di cosa si tratta:


Vipassana (in lingua pali, quella utilizzata dal Buddha nel suo insegnamento, o Vipaśyanā, in sanscrito) significa visione profonda (e corretta), ed è una tecnica di meditazione finalizzata alla consapevolezza dei processi mentali, solitamente preceduta da una sessione, o un periodo, di Samatha, la pratica di calmare la mente, tipicamente per mezzo della tecnica di Anapanasati (la consapevolezza del proprio respiro, tramite la semplice osservazione). Queste tecniche meditative, insieme a Metta (la condivisione con gli altri dei frutti del proprio impegno meditativo), costituiscono l'essenza della pratica nel Buddhismo Theravada, nonché nelle moderne correnti di meditazione laica che ne sono derivate. Sono tecniche inoltre presenti, insieme a pratiche meditative molto diverse, anche in alcune tradizioni di Buddhismo Mahayana, tra cui quelle tibetane, e nel Buddhismo Vajrayana.

Il termine "meditare" viene usualmente fatto derivare dal latino mederi (prendersi cura) a sua volta derivante dalla radice indoeuropea mā (misurare, pensare) che in latino assume le forme di med/mad da cui anche medicus (medico) e meditor (riflettere), mentre in greco quelle di med/mel, da cui melete (cura, meditare, studio) e anche melodia (canto); derivazioni che aiutano a spiegare le diverse accezioni dell'odierno lemma in questione. Accezioni assai diverse che vanno dall'estremo della contemplazione a quello della pianificazione, ma che in comune condividono i presupposti suggeriti dall'etimo: osservazione (misurazione) di un qualche scenario mentale (rappresentazione di specifici aspetti della realtà o immaginazione che sia), con finalità di miglioramento (curare, risolvere).

Anche limitatamente alle varie tecniche meditative (spirituali, esoteriche o laiche che siano) sussiste la presenza di finalità diverse (la concentrazione, la consapevolezza, il benessere, la felicità, l'illuminazione, lo sviluppo di poteri e quant'altro) e di mezzi distinti (osservazione, mantra, visualizzazioni, evocazioni ed altri), in conformità con gli scopi proposti e con efficacia assai varia. Per fare solo un esempio delle profonde differenze tra tecniche distinte, la classica posizione a gambe incrociate e schiena eretta, da mantenere con perfetta immobilità durante l'esecuzione di specifiche tradizioni yogiche (chiaramente non lo "yoga" ginnico che si pratica in palestra...) è da queste ultime ritenuta indispensabile affinché la pratica (mantra, visualizzazioni, pranayama, o altro) riesca ad attivare delle energie giacenti. Mentre al contrario la posizione in cui si siede (non si sta in piedi per non stancarsi ancora di più, né si giace per evitare di addormentarsi) è priva di importanza nella meditazione Vipassana e può pertanto essere scelta liberamente (tanto qualunque posizione dopo un po' è comunque scomoda...); e la mobilità deve essere limitata per facilitare la concentrazione ma non è strettamente proibita; poiché questi elementi non fanno parte di questa tecnica né sono necessari al suo specifico scopo.


 - Dopo aver chiarito - spero... - di cosa si sta parlando, ecco la mia esperienza:


Alcuni anni fa, in un centro di Buddhismo tibetano della mia città, iniziai a frequentare un incontro serale, a cadenza settimanale, della durata di un paio di ore. Si trattava di quattro meditazioni di circa 25 minuti, alternate da una breve pausa. Solitamente la sessione iniziale prevedeva l'istruzione di osservare il respiro senza tentare di modificarlo e tornare a concentrarsi su esso ogni volta che la mente si distraeva. Seguivano meditazioni nelle quali veniva richiesto di osservare o le proprie sensazioni corporee, o le proprie emozioni, o i suoni uditi, o i propri pensieri. Quale che fosse l'oggetto dell'attenzione, l'istruzione era di non giudicarlo e, nel caso in cui la mente divagasse, esserne semplicemente consapevole e ricondurla al tema osservato, o al respiro, senza rimproverarsene. Altre volte la terza meditazione consisteva in una lenta camminata per la stanza portando l'attenzione ai propri passi. L'ultima meditazione chiedeva solitamente di dedicare agli altri i meriti acquisiti, attraverso una progressiva elencazione dei beneficiari che via via raggiungevano tutti gli esseri viventi. Alla guida si alternavano più istruttori che, a seconda del proprio stile, spiegavano le istruzioni inizialmente e le ripetevano saltuariamente, oppure le ripetevano ininterrottamente per tutta la meditazione, facilitando probabilmente il ricordo del compito ma rendendone al contempo assai difficile l'esecuzione visto che l'attenzione su quanto detto richiedeva adesso un doppio sforzo per concentrarsi anche su quanto indicato.

Sia come sia, adesso che del tema ho maggiore esperienza posso dire che - chiacchiere dell'istruttore a parte - queste meditazioni (dal centro chiamate Samatha-Vipassana) pur condividendo molti aspetti delle tecniche Anapanasati, Vipassana e Metta, ne modificano altri e ne tralasciano altri ancora. Requisito essenziale di ogni tecnica non è tuttavia l'ortodossia, bensì l'efficacia, e ammetto che quest'ultima potrebbe essere raggiunta ugualmente, o anche meglio, con le modifiche introdotte dalla tradizione tibetana. Più problematiche sono semmai le istruzioni tralasciate, che rendono l'esecuzione del compito assai più complicata di quanto inevitabilmente già è. Nondimeno anche in presenza di tali omissioni suppongo che possa essere possibile raggiungere lo scopo, sebbene tentarci mi evochi la metafora dello studiare una lingua straniera disponendo unicamente di un corso online e di un vecchio modem a 56k: tanto di cappello per chi ai tempi ci è riuscito, ma la maggior parte di chi ci ha provato ha finito col rinunciare senza risultato alcuno. Così, malgrado la piacevolezza del centro e delle persone presenti smisi di frequentare.

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Lo scorso settembre a Miasto, un centro di Osho in provincia di Siena, ho frequentato un ritiro meditativo della durata di una settimana chiamato Maha Osho Vipassana. Diciamo subito che si tratta di un centro molto bello, con probabilmente la migliore cucina vegetariana che conosca, dove tutti gli aspetti pratici sono perfettamente funzionanti. La "Vipassana" insegnata, presentata come "la tecnica nella sua più estrema purezza" è tuttavia talmente scarna da prevedere unicamente l'istruzione di concentrarsi sul respiro e, se nel contempo nella mente accade qualcos'altro, esserne consapevole senza giudizio. Dopodiché si viene lasciati in totale silenzio per 5 sedute di 45 minuti ciascuna, distribuite durante la parte centrale della giornata. Alle 7:00, le 17:00 e le 19:00 si svolgono invece le meditazioni dinamiche sempre presenti al centro. Similmente a quanto accade anche nei ritiri meditativi di tipo buddhista (l'eclettico insegnamento di Osho non può annoverarsi nella tradizione buddhista) i partecipanti al corso devono rispettare alcuni precetti morali che hanno lo scopo di facilitare la meditazione. Tradizionalmente figurerebbe in realtà anche il divieto di assumere alcolici e fumare ma Osho, si sa, era piuttosto elastico nell'assecondare le richieste dei propri meditatori/clienti.

Malgrado le istruzioni di una tecnica resa apparentemente più semplice ma in effetti ridotta talmente all'osso da risultare estremamente difficile per il dichiarato scopo di raggiungere la consapevolezza (qualità che in effetti mi sembra rara tra i sannyasin - come vengono chiamati i suoi discepoli che sostituiscono il proprio nome anagrafico con quello "spirituale" assegnatogli dal maestro); e malgrado la presenza di meditazioni dinamiche a mio avviso difficilmente associabili, ma che ho facilmente potuto sostituire con piacevoli passeggiate nei boschi circostanti; l'esperienza è stata estremamente utile per la presenza del Nobile Silenzio. Stavolta in linea con i ritiri spirituali tradizionali, ai partecipanti veniva chiesto di tenere spenti computer o cellulari, non leggere né scrivere alcunché, non parlare né verbalmente, né con gesti o sguardi, con nessuno, con le uniche eccezioni dell'insegnante per questioni legate alla pratica e di un referente per eventuali problemi pratici. Ciò è tradizionalmente chiamato Nobile Silenzio ed il suo effetto, anche in assenza di altri elementi, è già di per sé straordinario: la spazzatura mentale quotidiana viene a galla e non venendo rimpiazzata con altra nuova per la mancanza di contatto col mondo esterno, lascia spazio a pensieri ed emozioni più radicati che emergono in un'alternanza di momenti piacevoli o dolorosi, ispirati, terrificanti, di rabbia, sconforto, eccitazione. In tutti i casi non si può scapparne, a meno di abbandonare il ritiro; non ci sono le consuete distrazioni, bisogna restare in compagnia della propria emozione e quando è dolorosa si scopre che dopo un po' comunque vada passa e lascia spazio ad emozioni di altro tipo. Ha un effetto che definirei disintossicante, si torna nel mondo reale più leggeri e se ne gode i vantaggi.

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Da pochi giorni sono rientrato da un ritiro meditativo di 10 giorni presso il centro Vipassana Dhamma Atala. Qui molto è stato diverso. L'aspetto probabilmente più unico che raro è che qui tutto è completamente gratuito sia l'insegnamento che il vitto e l'alloggio. La struttura sostiene le spese necessarie attraverso donazioni totalmente libere di chi vi abbia partecipato in passato e desidera offrire la stessa opportunità a chi lo farà in futuro. Né chi organizza, né chi ci lavora, né chi insegna percepisce alcun compenso; ognuno si sostenta con il lavoro che svolge nella sua vita normale e dona una parte del suo tempo affinché questi ritiri siano possibili. Ciò ha il dichiarato scopo di fare sperimentare al partecipante uno degli aspetti della vita monastica, il vivere (in questi 10 giorni) della carità altrui. Ma è al contempo anche testimonianza che chi vi ha partecipato in passato lo ha ritenuto utile; come pure lo ritiene utile chi offre volontariamente il proprio tempo; e sopratutto  lo ritiene sinceramente utile chi insegna (non perché il suo tempo sia più prezioso ma perché è testimonianza che l'insegnamento non ha secondi fini).

Altra caratteristica di questo ritiro è che in realtà si chiama, ed a tutti gli effetti è, un corso. L'insegnamento è sostanzialmente Buddhismo laico. Laico perché non ci sono monaci, la struttura non è un tempio, non sono presenti né immagini, né statue, né rituali, né altri aspetti tipici di una religione. Buddhismo perché, per non essendo richiesta alcuna conversione, e per quanto si parli di aspetti universali della condizione umana, viene pur sempre insegnata la tecnica che si afferma essere l'originale insegnata dal Buddha e l'unica sopravvissuta incontaminata. Ad ogni modo non viene richiesto di credere in alcunché ma solo di sperimentare personalmente quanto ci accade seguendo alcune indicazioni. Tipicamente buddhiste sono inoltre le regole che viene chiesto di rispettare durante il corso:
  • i 5 precetti richiesti quotidianamente ad ogni laico che si professi buddhista: non uccidere (qui la dieta è pertanto vegetariana, anche se interpretazioni meno rigide intendono la regola solo come "non direttamente"); non rubare; non mentire; astenersi da condotta sessuale scorretta (che durante il corso diventa da ogni genere di condotta sessuale); non assumere né alcol né droghe che alterino la lucidità mentale (qui neppure tabacco, ma a colazione è presente il caffè).
  • i 3 precetti aggiuntivi richiesti ad un monaco buddhista: non assumere cibo dopo mezzogiorno (solo a chi svolge il corso per la prima volta viene servita della frutta alle 17, per chi lo ha già fatto in passato ed è qui per ripeterlo solo una tisana); evitare ornamenti e divertimenti; evitare letti ampi e lussuosi.
  • Il Nobile silenzio, che comprende la consegna in custodia di cellulare, computer o libri.
  • La sveglia alle 4:00; la prima meditazione alle 4:30; la colazione alle 6:30; il pranzo alle 11; un totale di circa 11 ore quotidiane di meditazione, con sessioni della durata minima di un'ora, e la presenza di un'ora dedicata all'ascolto di un discorso del maestro su aspetti dell'insegnamento.
Per 10 giorni pieni, oltre una parte del giorno di arrivo e di quello di partenza, si vive come dei monaci buddhisti. Alcune di queste regole appaiano ovvie (tipo non rubare), l'utilità di altre si comprende praticandole (ad esempio il Nobile Silenzio, l'assenza della cena), altre appaiano talmente semplici da sembrare irrilevanti (come la tipologia del letto); altre infine risultano - quantomeno a me - decisamente ostiche (come l'orario della sveglia...). La percezione globale è ad ogni modo che tutto abbia la funzione di aiutare la meditazione.

La struttura ideale per questo corso prevederebbe una sala di meditazione, dove si siede in alcuni orari del giorno, e delle celle individuali dove si dorme e si medita in altri orari del giorno; in modo da ridurre al minimo le interazioni con gli altri ed entrare più profondamente dentro di sé. Molti centri tuttavia non dispongono di queste condizioni (fanno già tantissimo così!) e si alloggia pertanto in camerate (con rigorosa separazione dei sessi, che si incontrano unicamente nella sala di meditazione su lati distinti) dove durante la notte e alcuni momenti del giorno si condivide rumori ed altri disagi. Ma altre volte si condivide anche il coraggio di alzarsi dal letto e quello di andare avanti. Nella mia camera, all'ottavo giorno un ragazzo ha ceduto ed in rispettoso silenzio se ne è andato lasciando un doloroso letto vuoto a ricordarlo. Aspetti che non fanno parte dell'organizzazione del corso, che forse non ne facilitano lo svolgimento, ma che lo rendono tuttavia ancora più ricco e vero.

Qui si viene per imparare la tecnica di meditazione Vipassana, preceduta da un periodo propedeutico di meditazione Anapanasati, e coronata dalla pratica di Metta. Ci sono tutte le condizioni facilitanti la meditazione (anche se non certo la comodità, ma non è quello lo scopo di risiedere qui...); poi ci sono le istruzioni, chiare e dettagliate per coprire le tante lacune lasciate delle mie esperienze precedenti. C'è un insegnante paziente e disponibile a sciogliere gli aspetti che malgrado ciò dovessero non essere ancora chiari. Infine c'è il tempo sufficiente per imparare la tecnica che, per quanto chiara ed insegnata passo passo, rischierebbe di essere fraintesa con tempi più brevi e non sarebbero in ogni caso sufficienti ad impararla.

Della tecnica pertanto non parlerò. La sua divulgazione non comporterebbe la morte come per chi violava i segreti della scuola pitagorica, ed a sapere ben cercare le stesse istruzioni, con questa o quella denominazione, sono trovabili in tanti libri (io le avevo già incontrate pur non riconoscendone il valore). Ma parlarne non avrebbe alcuna utilità, questo non è il contesto in cui sia possibile insegnarla, non che sarebbe difficile descriverla, ma sarebbe difficile comprenderla. Mancherebbe inoltre la "palestra" indispensabile per apprenderla. Quella italiana (ci sono centinaia di sedi nel mondo) si trova a Lutirano, nel comune di Marradi. Se volete conoscerla andate lì, vi accoglieranno con calore come hanno fatto con me. L'esperienza è molto dura, ma vale tutto l'impegno che costa.

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In quanto psicologo mi sento solo in dovere di aggiungere che il funzionamento della mente come insegnato dal Buddha è perfettamente compatibile con le scoperte della moderna neurologia e con assodate conoscenza della psicologia comportamentale. Ma di questo scriverò in un altro post, questo è già anche troppo lungo.

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