Betapensiero è il pensiero di Beta, cioè il mio: Beta è la contrazione del mio nome e cognome. Ma è anche la "release" in cui il mio pensiero viene diffuso: versione beta, quindi funzionante ma ancora da finire di testare...
26 gen 2018
Principesse: dalla fiaba al simbolo
Una fiaba - ci ricorda Wikipedia - è un racconto in prosa, distinto dalla favola (quest'ultima più corta, esplicita e con protagonisti non umani), spesso di origine popolare, che veniva tramandata oralmente modificandosi in varie versioni della stessa storia o mescolandosi con gli elementi narrativi di storie distinte. Fenomeno che a ben vedere non si è interrotto né con la scrittura né con il cinema; da Charles Parrault ai fratelli Grimm, alla Disney, solo per citare alcuni autori che hanno ampiamente trattato il genere. Non ha pertanto senso parlare di "versione originale", poiché nella maggior parte dei casi essa non esiste ed assistiamo piuttosto a personaggi, elementi e situazioni ricorrenti, liberamente uniti dai narratori.
Neppure l'interpretazione della funzione di questo genere narrativo può dirsi univoca e - ci ricorda sempre Wikipedia - oscilla dal ritenere la composizione un puro intrattenimento per bambini, al considerarla racconto con significato altamente simbolico. Tralasciamo questa diatriba e, come già si intuisce dal titolo di questo articolo, soffermiamoci solo su quest'ultima ipotesi.
Prima però occorre ricordare un aspetto spesso non chiaro: un simbolo non è un segno. Ovvero non è sostituto di un significato convenuto, come avviene ad esempio con il grafema "a" (segno) che la scrittura utilizza per riferirsi al suono che avete letto come previsto nella nostra lingua. Un simbolo invece, come chiarisce la sua stessa etimologia (da syn, "insieme", e ballo, "metto"), unisce insieme più significati che diventano espressioni del simbolo. Si può dunque dire che tra un simbolo e un significato non c'è corrispondenza biunivoca (ogni significante esprime un solo significato e viceversa), ma non c'è neppure corrispondenza univoca (ovvero senza il "viceversa"). Un simbolo narrativo comunica un insieme di significati ma gli elementi di questo insieme non sono né culturalmente convenuti (se non all'interno di alcuni autori e con esclusivo riferimento ad essi), né sono elencabili in modo esaustivo. I significati tratti da un simbolo procedono infatti per analogia ed in modo trasversale a tempi e culture diversi.
Facciamo un esempio. Cercando in rete "significato dei Sette Nani", già dai primi risultati si trova che la protagonista Biancaneve rappresenterebbe la nostra anima alle prese, secondo alcuni con i sette pianeti dell'astrologia, secondo altri con i sette chakra della tradizione induista (e fin qui alcuni autori potrebbero affermare che ci sia un'equivalenza), secondo altri con gli effetti dell'assunzione di cocaina (...). Chi ha ragione? Ad un'analisi filologica la terza ipotesi potrebbe al massimo applicarsi alla versione della Disney, visto che la cocaina è stata sintetizzata nel 1860 ma la versione dei fratelli Grimm è del 1812; e per ragioni culturali l'esegesi potrebbe individuare nell'astrologia il più probabile bacino di riferimento. Ma non è questo il punto. Perché una volta che si è scelto di interpretare i Sette Nani, non più come meri personaggi narrativi, ma come simboli narrativi, e vi si cerca un significato trascendente, ecco che da quanto premesso, la corrispondenza con i significati non è né univoca né limitata, né culturalmente o storicamente definita. Hanno ragione tutti. E non ne ha nessuno, se ritiene che la sua versione sia l'unica "vera". In effetti l'interpretazione offerta dai suddetti autori ci racconta di più di loro che della fiaba in sé, ed è proprio questa la ricchezza di un simbolo narrativo, se così non fosse tanto varrebbe ai narratori l'essere espliciti.
Ma veniamo alle principesse e ad altri aspetti ricorrenti nelle fiabe. Chiaramente ricordando dalle premesse che quanto scrivo non è la "verità", ma solo la mia odierna verità - spero che possa risultare ugualmente di un qualche interesse alla lettura.
La principessa è un personaggio ricorrente, spesso la vera protagonista. La sua nobiltà genealogica viene quasi universalmente interpretata come una nobiltà d'animo, nella quale il destinatario della fiaba può identificarsi. Ma cos'altro porta con sé l'immagine? Perché non una baronessa, o una contessa, anch'esse di sangue blu? Per alcuni in virtù della gioventù che connoterebbe il personaggio, ma a ben vedere ci sono state principesse di età avanzata che non sono mai diventate regine perché colei che sedeva sul trono era ancora in vita, come pure ci sono state regine molto giovani. Oppure c'è chi direbbe che una principessa vale di più di una baronessa, ma ciò non è vero finché essa non sale sul trono. L'aspetto più peculiare di una principessa, che per me (ripeto, per me) è il più simbolico, risiede appunto nel suo potenziale di diventare regina che non è tuttavia né compiuto, né garantito.
Proseguiamo quindi associandoci questa caratteristica. Ma di chi si tratta, di un aspetto nobile, potenzialmente eleggibile al trono (e quindi al potere sugli altri aspetti), proprio di un essere umano di sesso femminile; o della parte femminile dentro ogni essere umano dotata di suddette caratteristiche? Non saprei, ma a me suona bene vederci la parte più nobile e femminile di una donna, unendo insieme le due possibilità. Le principesse delle fiabe sono spesso addormentate o imprigionate in una torre. In entrambi i casi il potenziale di sviluppo è inibito finché non vengono svegliate o liberate. Ma perché imprigionare una principessa in una torre dalla quale per altro può essere vista quando si affaccia alla finestra, e non rinchiuderla nei sotterranei dove si trovavano la maggior parte delle vere prigioni medioevali? Forse perché anche il luogo di prigionia ha la sua importanza simbolica?
Per alcuni qui è fin troppo facile vederci un simbolo fallico; ed io sottolineerei appunto: "troppo facile", ovvero troppo superficiale ed a mio avviso ben poco simbolico. Potrà essere funzionale alla femminista che desidera leggerci la millenaria oppressione femminile per mezzo della virilità maschile; ma lascio a loro questa immagine e simili interpretazioni. Né mi pare interessante l'immagine analoga di lingam, con tutto quello che comporta. Forse anche perché la caratteristica di costruzione isolata e svettante (cui si associa bene l'immagine fallica) è certamente propria di un campanile, o di alcune torri, ma non della maggior parte di esse che svettano invece a partire da un "corpo" sottostante (da fiorentino penso subito alla torre di Palazzo Vecchio) e quest'ultima immagine si associa ben più facilmente con quella dei lunghi colli dipinti dal Parmigianino che terminano, tornando in metafora, in un'altana (la testa umana), sovrastata dalla merlatura (la corona). Ecco che, proseguendo per associazioni la testa/torre diventa la torre d'avorio, immagine biblica del Cantico dei Cantici rappresentante il virtuoso distacco dal mondo, che sfuma tuttavia successivamente nell'uso della locuzione nel negativo vivere in falsi sogni, ovvero negli inganni della propria mente. Ecco che una principessa prigioniera nella propria mente è sostanzialmente una principessa che sogna ad occhi aperti, ovvero che è costantemente addormentata, ed il cerchio si chiude. In altre fiabe la principessa prigioniera è sorvegliata da un drago, sovente associato alle forti passioni.
Sia come sia, la principessa deve essere salvata (svegliata, o liberata) da un principe. Per questo personaggio può valere, al maschile, tutto quello già detto per la principessa, ma con un dettaglio aggiuntivo: il Principe è molto spesso Azzurro. In francese tuttavia il Prince è Charmant e da lì in inglese è Charming; quindi perché "azzurro"? Scartando, grazie all'Accademia della Crusca, la triste e ben poco simbolica associazione coi colori di casa Savoia, già smentita dallo spagnolo Azul, si scoprono attestazioni storiche di Prince Bleu (in francese sia "blu" che "azzurro" si traducono più spesso con "bleu"; mentre azur, oltre che per "azzurro" è spesso usato per "cielo") precedenti la diffusione del solo Prince Charmant. Ma forse l'apparente differenza nasconde solo due diverse prospettive, poiché "charmant", deriva chiaramente da "charme", a sua volta derivante dal latino "carmen" col significato certamente di "poesia", "canto" ma anche quello di "magia", "malia", "incantesimo". Mentre il blu/azzurro (i cui confini sono sfumati e in alcune lingue non esistenti) è spesso associato al cielo e per analogia alla spiritualità, alla calma, alla trascendenza. Ecco che un Principe Azzurro e Charmant detiene un fascino, ovvero una capacità magica, di tipo trascendente.
Ed infatti solo un tale principe, non ancora re ma col potenziale per diventarlo, può salvare la principessa, svegliandola dal suo sonno, liberandola dalla prigione mentale nella quale è racchiusa, o sconfiggendo il drago (le passioni) che la tiene prigioniera. Sono eventualità diverse, probabilmente affrontabili con modalità diverse; nella mia storia tuttavia un drago c'è e deve essere sconfitto: può essere domato e divenire un potente servitore, oppure può essere ucciso. In entrambi i casi il principe, o il cavaliere si servirà di una spada o, più spesso ancora, di una lancia. Nuovamente immagini dalla svettante caratteristica fallica, che sarebbe tuttavia a mio avviso lettura fuori luogo in un contesto trascendente, anche forzandone la convivenza per mezzo di una lettura tantrica, a suo volta poco pertinente. Ritengo ben più calzante all'immagine della lancia la caratteristica di acume mentale che va dritto al punto senza distrazioni o concessioni. Oppure la caratteristica della spada di tagliare ed in tal modo mentalmente discriminare; anche se in mano ad un nobile cavaliere la vedo più propriamente usata per trafiggere, ed in tale funzione personalmente gli preferirei la lancia.
Dimenticavo, il principe cavalca un cavallo bianco. Probabilmente in virtù della metafora della carrozza riportata da Georges Ivanovič Gurdjieff (per cui la carrozza rappresenterebbe il corpo fisico, i cavalli le emozioni, il cocchiere la mente ed il passeggero il nostro vero Io) sono portato ad associare al cavallo il significato di emozione, chiaramente "pura" per via della comune associazione con il colore bianco. Per via dei miei studi in psicologia associo invece all'emozione la caratteristica di breve durata, che la differenzia dal sentimento o dalla passione. Ma più in particolare le associo la caratteristica di esistere nel presente dell'azione, quindi non in virtù di un passato virtuoso o di un futuro consacrato alla purezza. Il cavallo/emozione deve essere bianco/pura nel qui ed ora in cui il cavaliere affronta gli sbuzzi di fuoco del drago.
Dunque nella mia fiaba la nobile parte femminile di una ragazza è prigioniera nella sua mente sognatrice, ciò la rende addormentata (inconsapevole) e lascia le sue passioni libere di sputare pericolosamente fuoco dalle narici. Un principe può liberarla, ma per farlo deve sconfiggere il drago, montando un cavallo bianco e brandendo la sua lancia più resistente e acuminata. Il cavaliere si prefigge di domare il drago rendendolo un fedele servitore, non di ucciderlo perdendone per sempre la forza. Se il principe riuscirà nell'intento potrà sposare la principessa ed insieme potranno regnare nel loro regno. No, non vivranno, come ebeti, per sempre felici e contenti ma assumeranno i poteri, i doveri e gli onori del trono a cui sono destinati.
Questa è la mia fiaba, che ognuno si senta libero di scrivere la sua.
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