"Il nostro errore più grande è quello di cercare negli altri le qualità che non hanno, trascurando di esaltare quelle qualità che invece realmente possiedono"
Marguerite Yourcenar
Questa parafrasi dell'ADHD non esiste in psicopatologia. Ma se ne trovano purtroppo ricorrenti esempi nella quotidianità.
"Chi ne soffre tende a manifestare abitualmente un eccessivo criticismo nei confronti dei comportamenti altrui. La mancanza di tolleranza si spinge fino ai piccoli dettagli abitualmente considerati non significativi. Il soggetto non è consapevole di mettere in atto egli stesso, in altre occasioni, comportamenti analoghi, e questa mancanza di consapevolezza gli impedisce sia di utilizzare un uguale metro di giudizio, sia di ridimensionare l'importanza dell'accaduto.
Il criticismo è particolarmente esasperato nei confronti dei comportamenti rivolti verso il soggetto, per quanto un certo egocentrismo lo porti ad interpretare come rivolti a sé anche alcuni comportamenti di cui il soggetto è stato unicamente testimone. In questi casi le piccolezze oggetto di critica, esasperate dalla sindrome, evolvono nella sensazione di avere subito un grave torto.
Suddetta sensazione genera rapidamente un risentimento (o rancore) intenso e persistente. Le reazioni del soggetto all'emozione di rancore possono essere varie. Tuttavia spesso il soggetto si ritira dalla relazione: richiudendosi in se stesso, offre un comportamento formale e distaccato.
La relazione ne risulta gravemente compromessa. In particolare a causa della reazione di chiusura che ostacola le possibilità di chiarimento, e per l'alto rischio che - talora la relazione non si interrompa - la pressione emotiva cui il soggetto è (auto)sottoposto lo porti, presto o tardi, ad esplodere in modo sproporzionato. L'intensità dello stimolo originario, ipercriticato e covato dal risentimento, cresce in modo esponenziale."
Questa potrebbe essere la descrizione clinica. Non ci sarebbe probabilmente menzione all'origine etimologica di "rancore", che deriva dal latino rancòrem, rancidità: l'odore e il sapore acre e disgustoso che prendono le sostanze oleose vecchie e andate a male. Qui posso però liberamente riportare la bella analogia, trovata in rete, tra il covare rancore e il tenere un frigorifero pieno di cibo marcio.
Il disturbo ad ogni modo rispetterebbe i criteri di: disagio (chi ne soffre non vive certo bene); disabilità (nella gestione delle relazioni sociale); e violazione delle norme sociali (quelle del quieto vivere), richiesti dal DSM ad una psicopatologia. In attesa che una prossima edizione (forse la VI...?) prenda atto di questo spiacevole sindrome, e dia il via agli studi sul come curarla, non resta che consigliare di togliere il cibo marcio dal frigo.
Anzi, meglio ancora: di aumentare la tolleranza, per irrancidire di meno...
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