15 gen 2021

Risposta a Alceste

 


Alceste, per chi non lo conoscesse è lo pseudonimo sotto il quale si cela l'autore di un blog di rara ricchezza, che consiglio di esplorare a fondo. Quantomeno, prima di leggere la mia risposta, è necessario avere letto il post in questione.

Il mio commento:

 

Leggo, e quasi ogni frase risuona in me col sapore della conferma. Spesso so, quasi sempre sento, le stesse note. Talvolta, sebbene in stile meno nobile, già le ho anche io scritte. Nondimeno mi è utile leggerlo e rileggerlo, pertanto innanzitutto: grazie!

Un'unica nota sento stonata. Non perché in sé scorretta, solo che la sua esecuzione conduce - almeno me - su sentieri invasi dai rovi. A poco servirebbe percorrere col pennato solchi oramai non più battuti, poiché tali sono divenuti avendo da tempo disilluso molti viaggiatori. Tra cui me.

Parlerò più chiaramente: il mondo delle attuali illusioni dilaganti, dei social, degli spettacoli politico-sociali, dello scientismo dalla dignità epistemologica di una telenovella sudamericana, e quant'altro abbiamo sotto gli occhi, ha preso il sopravvento sulla vita, perché essa era da tempo sentita vuota. Ricordo gli anni della mia gioventù adolescenziale alla frenetica ricerca di un'ancora di salvezza dal Nulla che avanza. Ma come fronteggiarlo questo Nulla se già allora valori, ideologie, prassi e consuetudini dominanti avevano il sapore della menzogna?

Sia chiaro, negli anni anche io ho sviluppato la convinzione che la verità non rende liberi (come leggo in un post precedente) e che le menzogne guidano le esistenze. In verità credo che la distinzione tra una menzogna e l'altra più che ontologica sia estetica, il che non sarebbe certo ridurla a un piano meno rilevante, tutt'altro! Il vero problema dell'attuale messinscena è proprio che è esteticamente misera e deprimente quasi più della verità (che almeno ha il merito di essere tale...). L'etica soggiacente al lamento di Iperione sarà forse altrettanto mendace della narrazione televisiva, ma quanta bellezza! Non è forse per la bellezza, di un'ideale, di una terra, di una donna, che si muore felici da eroi? La verità non rende liberi, no, anzi, è piuttosto deprimente. La bellezza, se forse non esattamente liberi, certamente rende felici. Il problema tuttavia è che non si è davvero nella condizione di aderire o meno a una narrazione, poiché perché essa risuoni pienamente in noi bisogna esserci nati ed esserci vissuti comodamente almeno per un po' o, altrimenti, occorre esservi condotti dal fiume in piena della maggioranza o, infine, averla conquistata, con la stessa fatica con cui si scala una montagna.

Lo descrisse meravigliosamente Jung confrontando il destino di un cristiano protestante, solo davanti al deserto (privo anche del credo nell'infallibilità papale sotto il quale un cattolico dei primi del Novecento poteva ancora proteggersi), e  le convinzioni dei Pueblo, una popolazione amerinda. Questi ultimi si ritengono (si ritenevano? esistono ancora? non saprei...) figli del Sole e esecutori ogni mattina e ogni sera di rituali imprescindibili al suo sorgere e al suo tramontare. Il capo tribù con cui Jung riferisce di avere parlato è preoccupato che, se i missionari cristiani convertiranno ancora altri del suo popolo, non ne resterà a sufficienza a eseguire i rituali e il Sole cesserà di sorgere e tramontare. Forse - prosegue Jung - persistere in questa convinzione, ai nostri occhi così bislacca, può sembrarci una forma di pazzia, eppure, proviamo a pensare alla qualità della vita derivante dal credersi figli del Sole e a lui indispensabili o credersi esseri inutili in un mondo generato dal caso e altrettanto inutile: chi dei due vive meglio? Chi vorremmo essere? Ma la scelta non sussiste, un occidentale non può davvero scegliere di credere nella narrazione dei Pueblo, per quanto si impegni non potrebbe mai riuscirci davvero. Chi non è nato sotto una narrazione tanto felice non ha che tre possibilità: adottare passivamente le nuove narrazioni collettive luciferine; cercare tra i resti delle narrazioni tradizionali che anche qui da noi un tempo esistevano; o affrontare da solo (o al più, se fortunato, con qualche raro compagno di viaggio) il deserto.

Chi però - come me - già decenni fa sentiva false e mendaci le narrazioni tradizionali (religiose, politiche o sociali che fossero) è forse reo di avere sostenuto quel mondo artificiale che oggi vuole essere l'unico e che un tempo adescava noi poveri ingenui offrendoci quelle (briciole di) libertà che là fuori già allora non trovavamo, ma che possibilità ha oggi di tornare a quella narrazione che già anni fa lo aveva disilluso? Nella "vera vita" già mi sentivo un alieno, poiché già allora non mi pareva per niente "vera" e ben poco "vita". Sebbene fosse "una principiante" rispetto ai livelli oggi raggiunti, già allora la vedevo di "qualità" esteticamente povera, un b-movie, forse rivalutabile in virtù dell'ancor più mediocre produzione successiva, non certo per meriti solo tardivamente riconosciuti. Eccomi, pertanto ancora qui, nel deserto, spesso solo, talvolta con poveri fessi o con menti brillanti (come su una circonferenza, gli estremi tendono a congiungersi), a cercare una Salvezza nella quale possa davvero militare a tempo indeterminato e non solo quel tanto che basta a rendermene manifesta la vacuità, per quanto tenti di tapparmi il naso. Anche questo (per me prezioso) scambio, a ben vedere è nel virtuale: non ci siamo mai visti né conosciuti. Tuttavia esprimendomi così col mio vicino di casa riuscirei unicamente a confermargli la sua opinione che io sia un tipo assai strano e pericoloso.

Questa è la verità, deprimente appunto, e forse oggi, dopo decenni di strenua difesa della verità, mi presterei anche a saltare sul carro di una qualche narrazione menzognera, purché non al livello qualitativo dell'attuale telenovella, ancor più scadente di quelle che da anni ci propinano. Leggo, altrove, in questo blog, "di farsi colonna del tempio in rovina", espressione poetica di quanto ho già pensato e descritto in prosa, e davvero ringrazio per questo attimo di bellezza. Ma dove trovarla però nella vita vera? Un tempo sopravviveva (e già era da sola insufficiente a vivere bene) in un sorriso, in una stratta di mano. Oggi la mano mi viene negata, il sorriso degli altri, sempre ammesso che ci sia, è coperto da bavagli-simbolo, e il mio a tale spettacolo sempre più fatica a sussistere. Paradossale che senta più vicino chi gestisce un blog, autore di parole oggi purtroppo di rara bellezza, che il prossimo incontrato per strada. Eppure la prima vicinanza sussiste unicamente grazie al virtuale; la seconda lontananza è aumentata dalla digitalizzazione del mondo ma, a ben vedere, esisteva almeno dai tempi della mia nascita....


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