Prima parte - cos'è la psicologia?
Citando un mio professore, "nella psicologia si trova dallo sciamanesimo alle neuroscienze". Iniziamo allora - tralasciando lo sciamanesimo, che pure effettivamente, malamente travestito, vi trova spesso cittadinanza... - col riassumere quali sono le "anime" principali di questo affascinante mondo.
Verso la seconda metà dell'Ottocento, nell'allora neonata disciplina, confluiscono, cercandovi scientificità, le riflessioni sulla mente/psiche umana prima appannaggio di filosofia e religione. Ci si occupava allora di sensazioni in risposta a stimoli fisici (Wundt, Fechner), cercando di comprendere e misurare il funzionamento della nostra mente. Oggigiorno tale studio, evolutosi e ampliatosi, procede; si chiama psicologia generale ed il confine di tale disciplina con le neuroscienze è sempre più sottile.
Altra anima della psicologia deriva dai tentativi di spiegare (prima) e curare (poi) le malattie delle mente. Da Freud in poi, per spiegare la psicopatologia, ogni autore ha innanzitutto proposto una propria teoria della psiche "sana", ovvero di ogni psiche, per potere così individuare la "falla" specifica del paziente e proporre una cura.
Esistono centinaia di distinte - e sovente antitetiche - visioni psicoterapeutiche, classificabili in tre grandi famiglie: psicoanalisi; psicologia cognitivo-comportamentale; psicologia umanistica (o, per motivi cronologici, Terza Forza).
- La visione psicoanalitica teorizza che l'agire umano sia mosso, o quantomeno fortemente influenzato, da forze (dinamiche) presenti nell'inconscio. Cosa sia l'inconscio, nonché cosa siano, come agiscano, da cosa siano state influenzate e siano al presente influenzabili tali forze, varia - anche sensibilmente - da autore a autore. Una linea più o meno comune prevede degli stadi di sviluppo influenzabili dal vissuto - tanto reale quanto soggettivo - della persona (prevalentemente, ma non esclusivamente, nell'infanzia). L'eventuale presenza di traumi, specialmente se in questi periodi critici, direziona le dinamiche inconsce verso future patologie. La cura richiede di riscoprire il trauma e "scioglierne" gli effetti.
- Il Comportamentismo nasce agli inizi del Novecento (Watson, Skinner), con la decisione di rinunciare al tentativo di comprendere il funzionamento della mente, considerata una "black box" inconoscibile, per concentrarsi sullo studio dei comportamenti manifesti e, in particolare, delle modalità di condizionamento di essi. A partire dalla fine degli anni Cinquanta il Cognitivismo recupererà lo studio della "scatola nera" tralasciata dal Comportamentismo e, sia pure in contrapposizione su tale punto, mutuerà da quest'ultimo i metodi di indagine. Nella psicoterapia cognitivo-comportamentale le due visioni si integrano e il comportamento viene visto come frutto di schemi mentali (Cognitivismo) e abitudini consolidate (Comportamentismo). Per modificare un comportamento patologico occorre modificare gli schemi mentali e ricondizionare le abitudini.
- La psicologia umanistica ritiene la persona, studiata nella
sua interezza, prioritaria sia alle interpretazioni che al
comportamento manifesto; essa contrappone ad una visione
meccanicista e determinista dell'essere umano la valorizzazione
delle sua autorealizzazione. Questa estrema sintesi del manifesto
della "Associazione di Psicologia Umanistica" del 1962
promossa da Maslow prese avvio soprattutto sulla base del lavoro di
Rogers e della sua "terapia centrata sul cliente". Il
presupposto della terapia rogersiana, ma anche della terapia della
Gestalt o delle altre terapie ad indirizzo umanistico, è che il
cliente (emblematicamente non più chiamato "paziente")
disponga internamente di potenziale e soluzione terapeutica e
necessiti esclusivamente di un "facilitatore" che lo aiuti
a realizzarla.
Teoricamente non influenzata da tale visione dovrebbe essere la psicologia clinica (diversa dalla psicoterapia poiché diagnostica, non curativa), in quanto unicamente descrittiva. Lo stesso DSM (manuale diagnostico statistico) si è tuttavia emancipato dalla predominanza della visione psicoanalitica solo nelle ultime versioni e non completamente.
Queste sono, sommariamente, le molte anime che compongono la psicologia. Vi sono molti ambiti di studio (non li ho citati tutti) che esplorano i vari aspetti della psiche umana ed i vari contesti in cui essa si trova ad operare. Vi sono inoltre, come ho tentato di evidenziare, vari paradigmi attraverso i quali la psiche e il suo operato vengono letti.
La prima prova "dell'esame di epistemologia" prevede questa domanda: può essere scientifica una disciplina che dispone di paradigmi alternativi spesso antitetici e in disaccordo tra loro?
La risposta valutativa dipenderebbe dall'esaminatore. Se tale ruolo toccasse ad un vecchio professore positivista la risposta dovrebbe essere "no!". Tohmas Kuhn sarebbe più clemente e parlerebbe di fase pre-paradigmatica, ovvero di scienza in formazione. La "controindicazione" di tale clemenza sarebbe però per l'esaminanda Psicologia di dovere rinunciare alle pretese di oggettività non solo fintanto che raggiungesse la sospirata maturità ma anche dopo, poiché per questo acuto epistemologo ogni scienza si basa più sul consenso che su pretesi criteri oggettivi.
Seconda parte - che metodi utilizza la psicologia?
La metodologia della ricerca in psicologia, quale che sia il campo di applicazione, segue alcuni step comuni alla ricerca scientifica:
- Definire chiaramente il costrutto oggetto di studio.
- Operazionalizzarlo, ovvero individuare metodi per rilevare la presenza e misurare l'intensità del costrutto.
- Ideare un'ipotesi che metta in relazione due o più variabili.
- Impostare una ricerca che tenti di falsificare l'ipotesi.
- Effettuare una misurazione su un campione.
- Analizzare statisticamente i dati rilevati.
- Pubblicare i risultati osservati.
Se volessimo misurare - ad esempio - l'intelligenza non potremmo accontentarci di una definizione intuitiva (a meno di rinunciare da subito a pretese scientifiche), occorrerebbe riferirsi ad una definizione chiara e univoca. Il problema è che tale definizione non emerge spontaneamente dall'osservazione, occorre costruirla. Molti studiosi hanno così costruito definizioni, non sempre concordanti, di tale costrutto. Poiché solo in rari casi una definizione emerge per criteri oggettivi la preferenza tra le definizioni disponibili viene accordata dai ricercatori secondo l'autorevolezza dell'autore. Ciò sembra trattarsi di un compromesso inevitabile e probabilmente è effettivamente così, tuttavia è bene ricordarsi che autorevolezza non è sinonimo di oggettività.
Un costrutto psicologico, come l'intelligenza - proseguendo con l'esempio - non è direttamente osservabile come potrebbe essere l'altezza o il colore degli occhi. Osservabili sono unicamente i comportamenti manifesti che si suppone siano frutti di tale qualità. Occorre pertanto individuare quali comportamenti siano indice della definizione di intelligenza precedentemente adottata ed in che misura lo siano. Rilevare la sola presenza o meno di un comportamento non sarebbe inoltre sufficientemente informativo per una disciplina che, in quanto scientifica, abbisogna di numeri sui quali effettuare calcoli. Occorre rilevare frequenza e intensità dei comportamenti individuati come indice di intelligenza e trasformarli in dati numerici. Nuovamente, per tale compito, non possiamo accontentarci di stime intuitive né spesso disponiamo di misure auotevidenti: occorre costruire dei test. Ognuno dei test necessari presenta problemi di attendibilità e validità; l'iter costruttivo corretto è lungo e complesso, composto da step similari a quelli qui presentati, con analoghi rischi di errore e analoghe modalità di scelta talvolta arbitrarie.
Le ipotesi sono virtualmente infinite e non è pertanto possibile testarle tutte. Un ricercatore sceglierà pertanto un modello teorico di riferimento e sulla sua base selezionerà quali ipotesi sia interessante studiare. La verifica di un'ipotesi aumenta la fiducia nel modello teorico ma altresì il modello teorico seleziona le ipotesi studiate. Ciò significa che ipotesi estremamente significative per la comprensione della psiche umana potrebbero anche non venire mai neppure investigate se esse non fossero coerenti con alcun modello teorico attualmente affermatosi.
Coerentemente con quanto insegnatoci da Popper non è possibile verificare un'ipotesi ma solo eventualmente falsificarla. Si cercherà pertanto di falsificare l'ipotesi alternativa a quella ricercata considerando quest'ultima accolta se è falsificabile la prima (statisticamente, non in termini assoluti). A questo punto occorre impostare la ricerca. Possono esserci varie modalità dipendenti dalla scelta personale, dal tipo di costrutto, dalle possibilità etiche, dalle risorse economiche, eccetera. Ogni modalità ha le sue insidie metodologiche ed ogni aspetto dovrebbe essere accuratamente monitorato, a meno chiaramente di invalidare l'intera ricerca. Non sempre è facile tenere sotto controllo tali rischi ed alcune variabili dette intervenienti non possono essere estromesse ed occorre stimarne l'effetto con metodi statistici.
La misurazione per ovvi motivi non può avvenire su tutta la popolazione mondiale e deve pertanto essere effettuata su un campione ristretto. Il campione oggetto di studio deve essere rappresentativo della popolazione che siamo interessati a studiare. Deve cioè possederne le caratteristiche di riferimento e le variazioni presenti tra i vari soggetti del campione devono essere casuali così da riprodurre la variazione casuale presente nella popolazione. Ciò significa che i dati raccolti all'interno di un campione costituito da studenti universitari dell'ateneo fiorentino, a rigor di logica, e sempre che il campionamento sia casuale e il campione sufficientemente ampio, ha estendibilità dei risultati ottenuti (validità esterna) unicamente alla popolazione degli studenti universitari fiorentini di una specifica coorte e in un arco temporale limitrofo a quello dello studio. D'altronde l'utilizzo di campioni universalmente rappresentativi è probabilmente impossibile, ed il ripetersi delle ricerche in contesti, luoghi e tempi diversi, se con risultati simili, aumenta la probabilità che i risultati delle osservazioni siano estendibili. Bene è, tuttavia, ricordarsi di tale fondamentale limitazione...
Una volta in possesso dei dati occorre analizzarli statisticamente. Qui, oltre alle ovvie possibilità di errori di calcolo o di immissione dei dati, insorgono difficoltà di corretta scelta del test statistico adeguato al tipo di dati e di rispetto delle condizioni per le quali il test risulta valido. Ma qui ammettiamo pure - a dispetto del luogo comune che vuole gli psicologi, ricercatori compresi, non esattamente ferrati quanto i fisici in analisi matematiche - che l'analisi possa essere metodologicamente ineccepibile.
A questo punto la ricerca è conclusa e le analisi effettuate avranno avvalorato o meno la tesi oggetto di studio. I risultati ottenuti sono un tassello della Ricerca psicologica che devono poter essere riprodotti, confermati o meno, ed integrati con i risultati di altre ricerche per costruire il sapere scientifico. la mole di ricerche prodotte è tuttavia enorme e l'effettiva pubblicazione su riviste prestigiose di ampia diffusione incontrerà una selezione. Questa selezione scarterà le ricerche palesemente non conformi ai criteri richiesti ma, trattandosi di una valutazione soggettiva, non potrà per definizione essere oggettiva in tutti i casi non palesi.
Malgrado tale selezione la pubblicazione di ricerche accumulatesi negli anni rimane enorme. Ogni ricercatore che desideri investigare uno specifico argomento è tenuto a conoscere la letteratura fino ad allora su esso pubblicata. Talora stia investigando su un argomento importante potrebbe tuttavia essere impossibile conoscere tutta la letteratura e dovrebbe pertanto a sua volta selezionare quali ricerche influenzeranno il suo studio. Per orientarsi in ciò la bussola messa a disposizione del ricercatore si chiama impact factor.
Per carità, pur sempre uno strumento utile, visto che l'alternativa sembra essere "navigare a vista". È bene però rilevare che si tratta di uno strumento delle pubblicazioni scientifiche, non di uno strumento scientifico. Epistemologicamente il suo valore è pressoché nullo. Un articolo di eugenetica avrebbe avuto, se solo fosse già esistito, un altissimo impact factor nella comunità scientifica tedesca - e non solo... - della prima metà del Novecento!
Parte terza - considerazioni.
Ammesso che la Verità oggettiva - con la maiuscola - esista si configurano teoricamente tre possibili modalità di conoscerla: saperla "vedere" e riconoscere direttamente; credere ai racconti di chi sostiene o ha sostenuto di conoscerla direttamente; cercare di inferirla dai sensi e gli strumenti di cui si dispone. Per chi, come me, non ha la capacità di "vedere" direttamente la verità e nutre poca fiducia nelle verità rivelate, la terza ipotesi risulta la migliore, sia per i fenomeni naturali che per quelli psicologici. Amo pertanto questa disciplina, ritengo che essa sia interessante ed utile. Ritengo anche che la metodologia adottata sia un ottimo compromesso tra come dovrebbe essere fatta e come essa "può" essere fatta.
Detto e chiarito ciò nondimeno ritengo utile distinguere tra "scientifico" nell'accezione di "procedimento che segue un metodo sperimentale riproducibile" dal suo utilizzo nell'accezione di "oggettivo". Ogni scienziato degno di tale nome conosce i limiti del metodo che sta utilizzando, tanto i limiti teorici propri del procedimento anche se implementato alla perfezione, quanto quelli con cui tale implementazione si scontra nella pratica limitandone l'efficacia. Indubbiamente molti ricercatori sono consapevoli di tali limiti, tuttavia, loro stessi quando devono divulgare i risultati, professori e professionisti, spesso utilizzano il termine "scientifico" evocando il significato di "oggettivo".
Al nostro "esame di epistemologia" la seconda prova consiste nel calcolare la probabilità che il metodo esposto nella seconda parte abbia concretamente prodotto un risultato valido - ovvero che il risultato possa essere considerato "oggettivo". Poniamo pure, per comodità, che se il protocollo fosse rispettato al 100% tale probabilità sarebbe certa. Poiché l'evento "ricerca" è composto da tutti gli step e i sotto-step di cui la metodologia è composta la formula per calcolarne la probabilità è quella della probabilità composta. La moltiplicazione di molte frazioni (poiché la probabilità che un singolo evento si realizzi è necessariamente compresa tra 0 e 1) diminuisce il valore del risultato ad ogni moltiplicatore che non sia pari a "1" (la certezza assoluta che non ci siano errori). I passaggi in cui il metodo può incontrare un errore sono veramente molti. L'aritmetica elementare ci ricorda inoltre che basterebbe che anche uno solo dei passaggi richiesti dalla metodologia fosse errato per rendere la sua probabilità prossima allo "0" e la ricerca stessa più un divertissement che non Scienza.
Trattandosi, quello psicologico, di un ambito estremamente complesso, qui, diversamente dall'estrema precisione possibile nelle misurazioni fisiche, le possibilità di errore, o quantomeno di imprecisioni, ad ogni passaggio, sono purtroppo ampie. E la probabilità di oggettività rischia di assottigliarsi. Questo sia chiaro, non significa che la disciplina non sia utile ma semplicemente che il miglior risultato ottenibile, per quanto scientifico nei metodi, spesso non lo è - e difficilmente può esserlo - nell'accezione di "certezza" dei risultati.
Tale aspetto, sebbene relativamente chiaro a livello teorico alla maggior parte degli psicologi, una volta considerato come inevitabile viene solitamente liquidato e dimenticato. Non soddisfa quella stessa sete di successi e riconoscimenti che - insieme naturalmente a quella di conoscenza - ha promosso la strutturazione della disciplina stessa come disciplina scientifica; né soddisfa il bisogno di prestigio e di professionalità di una categoria che vorrebbe emanciparsi dalla diffidenza con cui spesso viene vista.
Eppure, anche se l'abuso dell'autoproclamarsi ad ogni occasione professionali e scientifici, può essere funzionale in taluni casi ad accreditarsi quel riconoscimento tanto ambito; con ascoltatori meno naïf, abituati a dare maggiore credito alla "Via Centrale" che a quella "Periferica", l'effetto comunicativo rischia di screditare lo psicologo che incorre in questo, a mio avviso, errore, palesando più un bisogno di "coccolare" la propria autostima che quello di comunicare chiaramente e realisticamente gli esiti del proprio - pur prezioso! - lavoro.
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