9 dic 2016

Forme espressive culturali della personalità


Dai tempi della scuola conosciamo gli aspetti distintivi dei grandi movimenti artistici e di pensiero, i vari -ismi: Classicismo, Romanticismo, Illuminismo, Astrattismo, Comunismo, Pragmatismo e vari altri. Alcuni momenti storici hanno mostrato la prevalenza dei valori e delle forme espressive di uno specifico movimento, altri il conflitto tra due o più movimenti. Spesso così tali differenze sono sembrate fasi di un processo evolutivo, nella sua accezione valutativa (non darwiniana). La prospettiva cronologica della Storia genera facilmente l'illusione della necessità di un progresso (o di un regresso) lungo la linea temporale. Aspetto tuttavia non necessario, né giustificato, dalla prospettiva narrativa e descrittiva che si limita a raggruppare in "costellazioni" le caratteristiche dell'universo espressivo umano.


In questa seconda ottica è possibile prendere a prestito le etichette poste ai movimenti culturali in un parallelo con le personalità umane. In fondo gli uomini sono influenzati dalla cultura e, soprattutto, la cultura è fatta dagli uomini. Non intendo affermare che gli -ismi potrebbero costituire una nuova tassonomia di personalità, né la riterrei utile. Credo però che tali movimenti ci offrano esempi macro (e pertanto più facilmente osservabile) della tendenza di valori, forme espressive e comportamentali a presentarsi insieme, e forse della maggiore tendenza di ognuno di noi a ripercorrere alcuni schemi ricorrenti, ad associare specifici aspetti che riproducono, appunto, costellazioni riconoscibili.


Proviamo questo gioco e, poiché la cronologia è già stata privata del suo potere, iniziamolo liberamente dal Romanticismo. Sia chiaro, parlo del movimento artistico e culturale, non degli aspetti oggi più comunemente riferiti al termine che sanno semmai più di Barocco, o meglio ancora dei tratti affettati del Rococò. Romanticismo per eccellenza è la morte di Byron nella guerra d'indipendenza greca, paese straniero e oramai ombra del suo passato, eppure così intensamente simbolico da sacrificarvi la vita stessa. Romanticismo è il tremore che accompagna l'ascolto della Nona sinfonia di Beethoven (sebbene sia tecnicamente un compositore classico), il crescendo e l'intensità della sua conclusione. Romanticismo è la contemporanea piccolezza dell'uomo e la sua possibilità di raggiungere il sublime. In un uomo che rivive questo archetipo (mentre lo rivive, più o meno costantemente che sia, esclusivamente o alternato ad altri) l'espressione è carica di pathos, intensa, profonda; l'attaccamento ai beni materiali, quando non alla vita stessa, è nullo e pienamente sacrificabile ad un attimo di sublime (purché lo ritenga effettivamente tale); il rischio perde d'importanza, la prevenzione non ha senso; la responsabilità, la gloria o l'umiliazione sono personali; l'azione è individuale anche quando effettuata in gruppo; con gli altri condivide gli alti e i bassi, non la quotidianità.

In questo gioco i confini si delineano però talvolta in modo ironico. Così il più romantico dei poeti inglesi sacrifica la sua vita alla terra simbolo degli ideali classici, fatti di regole, di proporzioni, di armonie bilanciate. Il Classicismo, e più tardi il Neoclassicismo, le avevano riprese e cristallizzate in un canone di bellezza ritenuto universale. Sebbene cronologicamente distanti, la pulizia nei tratti del disegno di Giotto, l'architettura del Brunelleschi, la perfezione compositiva di Mozart, le sculture di Canova, sono tutti esempi dell'ammirazione che l'uso sapiente di queste regole può suscitare. Gli unici dubbi che accompagnano l'uomo che sta manifestando questo archetipo sono relativi alla propria capacità di comprendere e seguire le regole (non sulla loro esistenza); di eguagliare gli esempi offerti dai grandi predecessori; di servire correttamente la Grande Armonia. Anche in questo caso l'azione è personale, ma segue un sentiero esistente; è personale la responsabilità, ma pertinente regole ritenute universali. Prudenza o assunzione di rischi sono bilanciati; così come lo sono la comunicazione e la condivisione: tutto è funzionale all'armonia sotto la guida di regole chiare.

Ritroviamo le regole anche nell'Illuminismo, ma stavolta solo alcune sono già state scoperte, le altre sono lì ad attendere l'uomo, fiducioso di poterle gradualmente conoscere e dominare. Occorre innanzitutto riunire e diffondere quelle apprese, nasce così l'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert. La forma espressiva, sebbene simpatizzi col Neoclassicismo, è prevalentemente di natura tecnica. Il pensiero è acuto e tagliente come quello di Voltaire ma anche impregnato del Romanticismo di Rousseau. Li accomuna l'interesse per la razionalizzazione della società che non molto tempo dopo porterà alla Rivoluzione Francese, al grido di "liberté, egalité, fraternité", nelle barricate condivise dai pittori romantici Delacroix e Géricault col neoclassico Jacques-Louis David. L'uomo "dei Lumi" (quello che ne sta vivendo l'archetipo) crede sia nelle leggi naturali che nell'eroica possibilità di dominarle. "Liberté e egalité" sono libertà e uguaglianza di possibilità di azione, per tutti non per nascita; siamo "fratelli" perché abbiamo lo stesso potenziale ma anche perché condividiamo un destino sociale. Eppure l'azione è sì di gruppo ma guidata da individui in libera competizione tra loro; l'uguaglianza è concessa, non garantita. La comunicazione e la condivisione è ampia, su ogni aspetto. L'impulso convive con la pianificazione.

Passando dall'Idealismo hegeliano (che per brevità non tratteggio), Marx sviluppa il pensiero materialista, sia pure con importanti differenziazioni: Marxismo, Comunismo, Socialismo. L'espressione artistica è pressoché inesistente e, salvo esponenti di propaganda importanti per motivi storici, qui tranquillamente trascurabile. Il fulcro cui tutto ruota intorno è l'obiettivo di parità e uguaglianza; questa volta intesa come eguaglianza distributiva e parità di ruolo sociale garantita (quantomeno in teoria, come rappresenta meglio di qualsiasi storico Orwell in Animal Farm...) e imposta, che ha il suo naturale apice di coerenza nella Rivoluzione Culturale cinese. L'uniforme è il simbolo più pregnante. L'uomo che "la indossa" (anche solo archetipicamente), coerentemente con la premessa, invidia chi ha di più in un campo di suo interesse e denuncia le differenze (la Stasi russa, oltre che naturalmente sulla paura, poteva contare su denunce spontanee ben più della Gestapo di Hitler); è frequentemente in lotta, poiché sente pericolosa la diversità e deve combatterla; ritiene responsabilità della società agire affinché vengano soddisfatti i suoi bisogni e/o venga ripristinata la parità. L'azione è sociale; il merito è condiviso; la condivisione è totale, auspicata e imposta. La paura è diffusa: prevenzione e prudenza diventano essenziali.

Un'attenzione particolare merita la sostituzione di ogni sentimento spirituale, di ogni tendenza alla sublimazione, con l'ideale di parità, proprio del materialismo. Talvolta la reazione, per dirla con gli splendidi versi di Guccini, è: "voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali"; ma spesso purtroppo, avendo rinunciato per definizione al raggiungimento del sublime da parte di un singolo individuo, che violerebbe così l'assunto di parità, le "ali" volano proprio dai "preti che vendete a tutti un' altra vita; se c'è, come voi dite, un Dio nell'infinito, guardatevi nel cuore, l'avete già tradito". Data l'enormità del vuoto creato non stupisce tuttavia che, sia socialmente che individualmente, la contraddittoria convivenza tra materialismo e Chiesa sia così diffusa, e neppure avvertita poiché rassicurata dalla tutela del supremo principio di parità. L'uomo che sta incarnando questo paradosso non percepito si esprime in un "buonismo" rassicurante, che tutto condivide e tutto teme; è facilmente pronto a nuovi compromessi che non troverà contraddittori neppure quando cercherà lui di emergere dalla parità (purché non lo facciano i suoi competitori...). Compito di assicurare l'uguaglianza è ancora della società di cui può così lamentarsi; ma è adesso anche di quel Dio di cui ha sentito parlare ma che non ha mai percepito.


Ci sono molti altri -ismi, molte altre forme di espressioni artistiche e di pensiero che potrebbero essere prese a prestito per questo gioco. Nondimeno un gioco non ha pretese di essere esaustivo e deve ad un certo punto concludersi. Mi limiterò quindi a tratteggiare solo l'aspetto saliente di due altri movimenti a mio avviso interessanti per essere ricondotti alla modalità espressiva di un uomo in un dato momento: il pragmatismo e lo Zen.

Il primo, se in maiuscolo, corrisponde ad una corrente filosofica statunitense, ma è qui più pratico ricorrere al significato quotidiano del lemma, giacché a quello intendo ricondurmi. Il pragmatismo può, a mio avviso, essere visto un'astrazione, logica pura che si concentra su come andare da A a B nel modo più efficace ed efficiente possibile. Non dice niente sul perché si voglia andare da A a B, se meriti di più andare altrove, o alcuna informazione che non sia strettamente pertinente l'obiettivo specifico (e di generali non ne ha...). L'obiettivo specifico lo persegue tuttavia nel modo, per l'appunto, più pratico possibile. L'uomo che sta vivendo questo archetipo fa piccoli passi, probabilmente nel migliore dei modi; poi si ferma perché non sa dove andare. A meno che non utilizzi questa modalità come subordinata alle fasi di un obiettivo generale di un altro archetipo che in tal caso continuerà a seguire. Poiché si basa sulla logica pura, che è lo strumento astratto per eccellenza, l'uomo in questa modalità non ha timori, se non quelli di mancare l'attenzione ad un passo del procedimento; condivide solo lo stretto indispensabile e si assume il pieno merito dei suoi successi, nonché la responsabilità delle sue mancanze di metodo, ma non degli aspetti che non poteva manipolare.


Quanto allo Zen è il tentativo di raggiungere la realtà ultima attraverso il vuoto, il superamento della mente attraverso i suoi paradossi. A poco serve descriverlo di più. Credo che viverlo non sia riconducibile ad aspetti della personalità e che si possa semmai dire che in quei momenti si esprima una parte di sé che potremmo chiamare l'essenza. Per sua natura essa non ha timori, né obiettivi, né ambizioni poiché vive al di là di tutto ciò; agisce senza agire; condivide senza parlare.

Lo ripeto - a scanso di equivoci - ritengo che questo gioco delinei delle corrispondenze tra delle "costellazioni" di forme espressive e le possibili modalità di espressione di un individuo nei momenti in cui consapevolmente o meno che sia vi ricorre. Non ritengo che possa essere una tassonomia di diversi tipi di personalità, per quanto sia innegabile che alcune persone esprimono più facilmente e frequentemente degli schemi piuttosto che altri.





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