17 feb 2012

I transistor pensano?


No, no, non sono impazzito... In fondo Dick si domandava se gli androidi sognassero pecore elettriche ed io nel giorno dell'anniversario della morte di Giordano Bruno - ovvero del simbolo della libertà di pensiero - non voglio essere da meno. Così mi sono aperto una bottiglia di buon Chianti e mi accingo a riflettere sulla domanda. Ciò non tanto perché mi interessi effettivamente sapere se i transistor pensano, quanto semmai perché io ritenga che noi, in fondo, non si sia che dei particolari transistor.

in elettronica transistor è l'abbreviazione del termine inglese transfer-resistor. La traduzione in italiano è la medesima suggerita dall'assonanza linguistica. Le principali  funzioni di un transistor sono: 1) amplificazione di un segnale in entrata, 2) switcher (interruttore). L'informazione, sotto forma di segnale elettrico, arriva al transistor come input, viene elaborata e riconsegnata in output.

Siamo abituati a considerare un pensiero un concetto intangibile, tuttavia, per quanto l'idea che da corpo ad un pensiero possa avere natura per noi intangibile, ciò che noi chiamiamo pensare avviene all'interno di una struttura che chiamiamo cervello. Lì grazie a dei segnali elettrici l'informazione, attraverso delle sinapsi, viene trasmessa a delle cellule cerebrali che l'elaborano e la rimandano ad altri neuroni. Si tratta di un concetto assodato e non mi sento di augurare a chi non lo condividesse di sperimentare un danno neurologico per "toccare con mano" tale dato di fatto, perciò andiamo avanti.

Due dati di fatto portatori di una similitudine: entrambi i "componenti"  elaborano informazione attraverso impulsi elettrici. Quello che potrebbe tuttavia non sembrare simile è la definizione di "componenti". Insomma, dalla nostra prospettiva appare evidente che un transistor non abbia giustificazione esistenziale da solo e debba pertanto far parte di un qualche dispositivo elettronico. Non solo meno evidente ma altresì poco probabile ci sembra però che la nostra esistenza non sia di per sé giustificata.

Il punto adesso è che non mi sento già più sufficientemente lucido per addentrarmi in teleologiche questioni. Mi limito pertanto a evocare le diffuse idee che tutto serva a qualcosa, che "nessuno sia un'isola" che un essere umano faccia parte di "un Uno" o comunque sia elemento di una società. Forse adesso non posso dimostrarlo ma, Popper docet, non si può dimostrare qualcosa bensì solo tentare di confutarla. E qualcuno sarebbe pronto coerentemente a dimostrare di non avere scopo alcuno o di averlo esclusivamente in funzione di se stesso?

Se assumiamo pertanto di essere parti di un più grande "dispositivo", la domanda diviene pertanto "qual'è la nostra funzione?". La mia risposta è: quella svolta da un comune transistor, elaborare un'informazione, amplificandola, modulandola, trasferendola, resistendole. Beninteso, parlo di analogie. Saranno chiaramente diverse le informazioni, come pure i dispositivi costruibili con un transistor o un essere umano. Quella che tuttavia ritengo analoga è la dinamica di funzionamento, lo scopo, la funzione.

In sostanza ritengo che le nostre emozioni, i nostri ideali, le nostre battaglie, i nostri batticuori, le nostre sofferenze siano funzionali all'amplificazione di energia (elettrica, psichica, emotiva). Ci è richiesta una certa intensità che volenti o nolenti produrremo. le emozioni sono energia, lo sono tanto quelle a noi piacevoli che quelle a noi spiacevoli. Ipotizzo tuttavia che per i fini del "dispositivo " di cui facciamo parte sia secondario se esse siano per noi piacevoli. Credo che se non avremo prodotto l'intensità richiestoci con emozioni piacevoli non ci resterà che subire le avversità che indurranno in noi sufficienti emozioni spiacevoli.

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