16 mar 2012

Elogio della civiltà



"Ho ricevuto il vostro nuovo libro contro la razza umana, e ve ne ringrazio. Non fu mai impiegata tanta intelligenza allo scopo di definirci tutti stupidi. Vien voglia, leggendo il vostro libro, di camminare a quattro zampe. Ma avendo perduto questa abitudine da più di sessant'anni, sento purtroppo l'impossibilità di riprenderla. Né posso mettermi alla ricerca dei selvaggi del Canada, perché le malattie a cui sono condannato rendono necessario per me un medico europeo, perché in quelle regioni c'è la guerra, poiché il nostro esempio ha reso quei selvaggi cattivi quasi quanto noi".

Così, nel 1755, Voltaire rispondeva a Rousseau. Così risponderebbe ancora oggi ai troppi che sbandierano le loro personali interpretazioni del "bon sauvage". Dagli ambientalisti che inneggiano alla vita naturale ed entrano in crisi se gli va in tilt l'ADSL, agli animalisti che nel lodare la presunta "bontà" della natura dimostrano chiaramente di non conoscere niente di etologia.
In generale le parole che terminano in "ismo" sono  caratterizzate da assolutismi, e sono un buon segnale di mancanza di civiltà - presa qui nella sua accezione di modi civili di confrontarsi, valutare, organizzare.

Già perché il termine civiltà assume molti significati. Alla sua origine c'è tuttavia la contrapposizione tra civilitas - a sua volta derivato da civis: cittadino - e rusticitas, la rozzezza degli abitanti della campagna. I termini sono latini, i concetti ben più antichi. Non si tratta quindi della attuale campagna né delle attuali città. Dall'uomo primitivo che si muove in tribù antropologicamente ben poco distinguibili dal branco si passa ai rudimentali gruppi di agricoltori per giungere poi a quei più ampi aggregati tipici di una città che hanno prodotto collaborazione, sviluppo di nuove tecnologie e strumenti; cultura e regole conviviali.

Le accezioni di "civiltà" derivano tutte da questa contrapposizione. Sia l'accezione di società sviluppata con competenze tecnologiche - frutto etimologicamente e ontologicamente del vivere in città - come pure l'accezione di insieme di modi e atteggiamenti civili. Stesso termine, stessa origine. Anzi a ben vedere direi che si tratta dello stesso atteggiamento applicato a due ambiti diversi.

Mi spiego. Prendiamo un altro termine che offre - e di fatto viene usato con - un duplice significato: "clima"- ma anche "atmosfera" andrebbe bene. Si parla di clima atmosferico riferendosi a eventi naturali come la pioggia, il sereno, il vento, la siccità ma anche a uragani o ad altri eventi catastrofici. Si parla di clima sociale, culturale, organizzativo, relazionale, riferendosi a valutazioni qualitative di dinamiche percepite. In entrambi i casi si tratta di fattori esterni che influenzano, talvolta pesantemente, il nostro vissuto.

L'atteggiamento con cui fronteggiamo i climi più pericolosi, siano essi siccità, maremoti, tensioni sociali o di coppia, lo si può, in entrambi i casi, definire civile oppure no. Nei confronti di siccità o intemperie l'uomo non civilizzato si limitava ad inveire o implorare un Dio inevitabilmente sordo, e come risultato moriva giovane per gli stenti provocati dalla natura. L'uomo civilizzato ha imparato a collaborare, a costruire edifici antisismici, a proteggersi dalle intemperie, a costruire dighe e canali. Non ha - né probabilmente mai potrà farlo- eliminato ogni effetto del clima per lui nocivo ma ha costruito una capacità di resistere alle calamità naturali prima di allora impensabile.

Similmente nelle avversità climatiche relazionali, il bambino/uomo primitivo urla, accusa, inveisce, sogna e delira, agisce fin troppo ma non costruisce niente, non collabora, non usa gli strumenti relazionali che la civiltà ha maturato: non usa un atteggiamento civile - ed il conflitto degenera inevitabilmente in guerra. In entrambi i casi sono necessarie competenze e strumenti maturati dalla civiltà. In alcuni casi si tratta di strumenti tecnologici in altri di strumenti psicologici, più frequentemente sono necessari entrambi ed entrambi sono aspetti di una stessa medaglia.

Vivere in un mondo civile non significa che ogni componente di tale civiltà padroneggi tali strumenti. Continuano di fatto ad assistere al colpevolizzare il fato o gli altri per ogni tipo di avversità, testimoniamo di persistenti inabilità tecnologiche e di inabilità relazionali che portano a integralismi e guerre. Sono retaggi del bambino/uomo primitivo, immaturo e, giustappunto, incivile.
Tra gli effetti dello sviluppo sociale di una maggiore capacità di fronteggiare le avversità figura inevitabilmente anche una ridotta selezione naturale, così che mentre vengono facilitate le condizioni esistenziali per gli individui forti, astuti e collaborativi lo sono al contempo anche quelle per gli elementi deboli, inetti e opportunisti. La civiltà, intesa qui come insieme dei suoi componenti, non è, né può pertanto essere, perfetta.

Imperfetta quindi. Ma ugualmente preferibile alle favole del bon sauvage, agli integralismi, all'ignoranza e, soprattutto, alla mancanza di buona educazione.

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