6 apr 2012

Il partner ideale


Recentemente ho rivisto, in mano ad una amica, un libro di Lorenz che ho molto amato quando anche io avevo pressappoco la sua età. Si tratta de "Gli otto peccati capitali della nostra civiltà". Una storiella in particolare mi colpì e, prontamente, la rossa copertina Adelphi l'ha riportata alla memoria. Poi, di associazione in associazione, prendendo da essa spunto, è nata la riflessione che sto per condividere.

Si tratta di una vecchia storiella ebraica che qui riporto con le parole di Lorenz: "Un miliardario si reca da un mediatore di matrimoni e gli fa capire che desidera sposarsi. Il mediatore, pieno di zelo, si mette subito a decantare le qualità di una bellissima ragazza che era stata eletta tre volte di seguito Miss America; ma il riccone disapprova dicendo: «mi basta essere bello io». Il mediatore, ricorrendo a tutte le sottigliezze del suo mestiere si lancia subito a decantare un'altra ragazza che ha una dote di molti miliardi di dollari. «Non occorre che sia ricca, lo sono io quanto basta!» obietta il miliardario. Allora il mediatore propone una terza ragazza che, già docente di matematica a soli 21 anni, è al momento, a 24, professore ordinario di teoria dell'informazione al MIT. «Non ho bisogno che sia intelligente, lo sono io quanto basta» ribatte il miliardario con fare sprezzante. A questo punto il mediatore protesta disperato: «Dio mio, ma come la vuole, allora?» «La voglio onesta» è la risposta".

L'idealismo della mia adolescenza ne fu molto colpito. Oggi, con un po' più di esperienza, continuo a ritenere importante l'onestà, nel senso ampliato con cui vi si riferisce Lorenz, tuttavia a Lorenz ed alla storiella da lui riportata contesto due aspetti.

Contesto, per cominciare, l'approccio dicotomico con cui viene affrontata la questione. Prendo a prestito il linguaggio matematico per constatare che le qualità presentate non sono mutualmente escludenti e non c'è pertanto motivo di snobbarne una per ricercarne un'altra. L'onestà è inoltre indubbiamente essenziale, eppure - continuando ad esprimermi matematicamente - la direi una condizione necessaria ma non sufficiente.
Occorre ben poco sforzo immaginativo per raffigurarsi le scarse possibilità relazionali che ognuno di noi avrebbe con una persona che ritiene onestissima ma altresì brutta e stupida (la ricchezza è un capitolo più complesso, sebbene sia facilmente intuibile che uno status economico simile, per quanto non imprescindibile, sia certamente una condizione agevolante). Semplificare una qualsiasi analisi portandola ad un unica variabile, in luogo di riconoscere i molti fattori in gioco, impoverisce eccessivamente. Più sensato direi considerare le qualità come ingredienti di una ricetta: ci sarà probabilmente un ingrediente indispensabile ma, unicamente con esso, non si può cucinare alcunché di gradevole al palato!

L'altra, e più importante questione, che contesto riguarda quale sia "l'ingrediente principale". Qui spiegarmi sarà forse meno semplice: ci provo.
Le qualità che possiamo elencare come desiderabili si trovano su "livelli" diversi. Non mi riferisco a livelli di valore né a livelli di piacevolezza, sto parlando di livelli di possibilità. Alcune condizioni sono propedeutiche ad altre. La bellezza difficilmente potrà manifestarsi in una persona che non sia sana e nutrita. Ma anche l'intelligenza, per quanto potenzialmente presente non potrà manifestarsi in assenza di condizioni favorevoli.
Questi sono casi estremi che ho sfruttato a titolo di esempio. Nella società in cui io vivo e scrivo le qualità cui stiamo facendo riferimento, sia pure con qualche difficoltà e l'indispensabile impegno, non trovano insormontabili impedimenti esterni. Molti, adottando un ben più comodo locus of control esterno, preferiranno ritenere il contrario. Sarà tuttavia molto più tale atteggiamento che non le condizioni oggettive a dargli ragione.

Mi sto avvicinando a ciò che tento di esprimere. Noi non siamo onesti, belli o intelligenti, bensì noi ci comportiamo onestamente, intelligentemente e manteniamo/creiamo le condizioni per essere visti come belli. Per farlo dobbiamo avere delle qualità a ciò propedeutiche. Ed una in particolare ritengo che sia indispensabile per una relazione.

Prevengo,  prima di esprimere la dote cui mi riferisco, con una piccola digressione esplicativa, la naturale obiezione che tale mia asserzione provoca usualmente. Come un qualsiasi manuale di neuroscienze può facilmente chiarire, noi siamo consapevoli solo di una piccolissima parte dei nostri processi mentali, precisamente di quelli svolti nelle aree corticali prefrontali. La grande massa dei nostri processi psichici, da quelli percettivi, al controllo dei nostri movimenti e delle nostre emozioni avviene in background, automaticamente. Solo successivamente, osservando l'output generato, possiamo diventarne consapevoli.
Ovvero, in modo automatico, percepiamo il mondo esterno, lo elaboriamo e vi associamo delle emozioni. Tali emozioni condizioneranno pesantemente la capacità soggettiva di essere "onesti", "belli", "intelligenti" od altro. Chi non mi credesse provi a testare le sue capacità intellettive (o altro) in condizioni neutre, euforiche o di tristezza.

Tali processi sono automatici, ma non insondabili e neppure incontrollabili. Le emozioni, che ripeto rappresentano il substrato indispensabile all'adeguato manifestarsi di ogni qualità, possono nascere per caso, a secondo di come "soffia il vento" - e chissà perché ciò viene spesso chiamato essere sé stessi.... - oppure possono venire educate, istruite e guidate consapevolmente. In una parola: gestite - e ciò realmente da se stessi! Gestire non è sinonimo di reprimere né di subire; richiede impegno ma ripaga abbondantemente, in particolare con la possibilità di essere realmente "onesti", "intelligenti", ecc. In luogo di esserlo unicamente quando e sé le condizioni esterne ci portano ad esserlo.

«Una persona capace di gestire le proprie emozioni» chiederei io adesso al ruffiano della storiella di Lorenz.

Poiché diversamente si potrà incontrare (o essere...) una persona meravigliosa come un Dr Jekyll, con lo stesso rischio però di immotivata e repentina trasformazione nel Mr Hyde del personaggio ideato da Stevenson.

Continua...

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