25 mag 2012

Il partner ideale III


Vuoi perché l'argomento mi arrovella, vuoi perché continuano ad arrivarmi nuove riflessioni, vuoi perché una trilogia risulta più armoniosa, ritorno sul tema.

Un autore cui devo molto di quel poco che ho imparato della vita, Georges Ivanovič Gurdjieff, sosteneva che un essere umano è composto da due parti distinte, una chiamata essenza e l'altra personalità. L'essenza può essere definita come ciò che siamo alla nascita, il nostro vero sé. La personalità come la maschera forgiata dal nostro vivere sociale ed a ciò atta. Nell'insegnamento gurdjieffiano il lavoro su se stessi è finalizzato al sano sviluppo dell'essenza. L'aspetto interessante della visione di monsieur G. risiede nel fatto che, per quanto "gerarchicamente" l'essenza sia assai più importante della personalità e debba riprendersi il "trono" da essa usurpata, solo chi abbia una personalità sufficientemente matura può accingersi a ciò. Ovvero condizione indispensabile per intraprendere un lavoro su di sé è essere, nella vita di tutti i giorni, un "buon padre di famiglia". L'espressione - non mia - riassume efficacemente le abilità basilari di saper provvedere alle necessità proprie e familiari, essere equilibrati, affettuosi e responsabili. Sapersi cioè muovere nel mondo sociale che, sì, va trasceso, ma solo dopo averlo padroneggiato.

Non mi risulta che Gurdjieff abbia da ciò derivato riflessioni sul partner ideale, io tuttavia sfrutto quanto ho scritto sopra come un parallelo tra i due aspetti esposti nei miei precedenti post, e qui tento, alla luce di tale parallelo, di integrarli in una sintesi.

Supponiamo di chiamare "essenza" quanto si "vede oltre la maschera", il reagente di quella particolare reazione chimica che consente al "mondo di ampliarsi". Chiamiamo invece "avere una personalità matura" (da buon "padre di famiglia") la capacità di gestire le proprie emozioni. Ecco che, nell'ottica di una relazione sentimentale, l'equazione diventa: l'essenza di un potenziale partner è più importante, ma unicamente l'avere - entrambi - acquisito una personalità matura consentirà la reale possibilità di contatto tra le due essenze. Fatta eccezione per qualche sporadico e incostante momento in cui ciò accadrà per caso o per l'ebrezza di un primo periodo di innamoramento.

La personalità, abbiamo detto, serve nella visione gurdjieffiana per rapportarsi con le interazioni sociali ed è da esse forgiata. Da studente di psicologia non posso non aggiungere che una personalità non è banalmente una tabula rasa incisa dall'ambiente sociale bensì il frutto di un processo attivo dell'individuo che interviene, filtra e elabora gli stimoli ambientali. Un individuo, in tale processo attivo, non prescinde tuttavia né dalle sue componenti genetiche né dall'ambiente sociale in cui vive: non ne dipende completamente ma pur tuttavia con ciò interagisce e da ciò è ampiamente influenzato. Crescere con dei buoni esempi di educazione, affetto, rispetto, collaborazione e civiltà (e condividere con essi una parte del patrimonio genetico...) semplifica il lavoro poiché queste sono le qualità imprescindibili ad una relazione sana.

Sarà per questo che si diceva un tempo - forse facendo tesoro di tristi esperienze - di scegliere una moglie sulla base della madre...

Più difficile per chi, come me, non ha avuto la fortuna di "respirare" una sana atmosfera. Più difficile ma non impossibile, purché ci sia sufficiente motivazione a vivere ed offrire tale maturità emotiva. Evitando penose giustificazioni per la tendenza a "risolvere" le cose litigando.

2 commenti:

  1. Una persona “capace di gestire le proprie emozioni” è senz’altro intrigante, affascinate, per molti versi rassicurante (per i motivi da te sapientemente esposti). Ma a parte queste percezioni, ci offre anche qualcosa in più: lo spunto e la possibilità di scoprirla. Non solo siamo testimoni di ciò che ci mostra (e percependola la apprezziamo), ma riusciamo anche, a nostra volta, ad essere artefici del suo imprescindibile bisogno di emozioni (più sono forti, più ci si sente vivi, esposti, e maggiore è la necessità di autocontrollo). Estremamente piacevole e gratificante è il riuscire a raggiungere un tale livello di “intimità” che in taluni casi faccia venir meno ogni forma di “personalità matura”, facendone emergere l' “essenza”.
    Ciò implica, ovviamente, una totale disponibilità all'apertura da ambo le parti; ma forse anche, necessariamente, una differente “capacità di gestire le emozioni”, per completarsi.
    Allora mi chiedo: quale potrebbe essere il partner ideale per una persona capace di gestire le proprie emozioni?
    Forse un suo simile, o forse anche un suo opposto.

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    1. Beh, non proprio. Non secondo me, almeno. Quanto scrivevo, e tutt'ora ritengo, è che una relazione sana, funzionale e matura sia possibile esclusivamente se entrambi i partner hanno sviluppato la capacità di gestire le proprie emozioni. La quale non è assolutamente in contrapposizione all'avere, e saper mostrare, emozioni intense. Sono due livelli distinti, non due poli opposti (e pertanto antitetici) su uno stesso livello.

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