27 ago 2012

l'angoscia


L'angoscia, come il buio, scompare con la luce e, puntuale, riappare in sua assenza. Nei periodi luminosi sembra perfino impossibile che essa esista. Eppure non è forse sempre lì, presente, inefficace - e pertanto invisibile - grazie al chiarore del momento?

Si potrebbe obbiettare che mancandone gli effetti viene a mancare il fenomeno stesso. Tuttavia se imprigioniamo un pericoloso criminale inibendone gli effetti è corretto dire che egli non c'è più? Non è forse più veritiero affermare che egli c'è, inoffensivo finché manterremo le precauzioni di sicurezza? Ma basta un attimo di distrazione affinché si liberi poiché, mentre noi gioiamo dimentichi del pericolo, egli è sveglio e presente.

Sembra bastante, per lasciare riapparire l'angoscia, l'assenza di un chiarore, di una gratificazione, di una carezza, o anche solo di un'occupazione. Osservo, in me e nei miei simili, la necessità di continui apporti di tale "energia sociale". Limitandone, anche di poco, l'afflusso riappaiono le prime avvisaglie di quel terribile oceano che minaccia di inghiottirci.

Eppure la stessa ricerca della "luce" sembra essere causata dalla sgradevolezza del "buio", cui quindi dobbiamo anche la piacevolezza dei momenti di gioia. Cosa infatti ci spingerebbe al loro faticoso raggiungimento se non l'angoscia provocata dalla loro assenza? Potrebbe trattarsi del raggiungimento della gioia stessa, la quale tuttavia è troppo effimera e precaria per reggere il confronto con lo sforzo di ottenerla. A placare, almeno un po', il senso di angoscia basta invece già il sentirsi sulla strada giusta.

"Strada giusta" per cosa? Per qualsiasi cosa plachi suddetta angoscia. "Vino, poesia o virtù" scriveva Baudelaire. Ma anche - e probabilmente anche di più - relazioni sociali: siano esse gratificazioni di stima o potere, affetto parentale, avventure sessuali o relazioni amorose. Quest'ultime in particolare, la loro presenza o assenza, le loro dinamiche e la loro qualità sembrano essere particolarmente pertinenti a placare o alimentare il senso di angoscia latente.

Ma anch'esse, le relazioni amorose, sono una vera soluzione? Vi sono momenti soddisfacenti da tale punto di vista che lasciano ugualmente spazio all'angoscia. In altri momenti si rimpiange una relazione che a ben vedere è stata, quando presente, più che altro fonte di problemi e incomprensioni, tanto da farne desiderare la fine. Tale discrepanza tra l'universalità dell'aspettativa e l'effettiva diffusione dei risultati ottenuti è imputabile alle pessime modalità adottate quando la relazione è presente o all'irrealizzabilità dell'aspettativa? Si tratta di una vera soluzione o della meno peggio di quelle disponibili?

In sostanza abbiamo un problema, l'angoscia latente che se liberata minaccia il nostro umore, e delle strategie di coping, provvisorie e talvolta fallaci, che ci troviamo ad applicare tentando una soluzione. Alcune di queste strategie sono più efficaci di altre. Tutte hanno un costo energetico. In alcuni casi il costo, alla lunga, è perfino superiore al beneficio immediato. Esse vengono tuttavia mantenute per tamponare un'urgenza. Poiché se un'emergenza è in corso essa richiede la messa in atto immediata di una risposta, scelta tra quelle disponibili. Ne deriva che l'unico modo per sostituire un processo di coping inefficiente, ma pur sempre efficace anche se ad alti costi e per brevi periodi, non sia dimostrarne l'inefficienza (né l'efficacia solo temporanea), bensì sostituirlo con uno dimostratosi più efficiente.

Occorrerebbe, pertanto, conoscere una strategia funzionante, meno dispendiosa e più stabile per fronteggiare il problema.
Esisterà? E se sì, quale potrebbe essere e quali sono i suoi effetti collaterali?

Oppure siamo condannati ad alternare soluzioni parziali in una eterna rincorsa al porre toppe agli strappi?

O, infine, se mi rassegnassi, imbelle, a guardare negli occhi tale angoscia, sarebbe poi veramente così terribile?

2 commenti:

  1. Si, guardare la propria angoscia negli occhi può essere terrificante, ma inevitabile se si vuole conoscersi e progredire... È solo quando la riconosci e la senti tua che non ti fa più paura. Non che sia meno terribile. È semplicemente tua, e la puoi accogliere. E tutto questo richiede energie. Tante. Io le chiamo vita.

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