27 ott 2012

Chi sei?


"Chi sei?"

Offri nome, cognome, residenza, professione, data di nascita. Poi comprendi che non è quello il senso della domanda, poiché ti viene ripetuta. Ti professi membro della tua specie, di un determinato genere e di una specifica età. Cerchi mentalmente tra le categorie cui puoi affermare di appartenere quale potrebbe fornirti la giusta risposta: giovane, sportivo, studente, socialmente impegnato?

Ma no, non è quello il punto. Eppure sì, puoi affermare di essere tutto quanto hai precedentemente affermato, perché insistere con quella domanda? Inizia a diventare frustrante.
Finalmente intuisci che si tratta di uno di quei giochetti filosofici tipici di quegli autori tanto cari a quel tuo professore del liceo. Ti viene chiesto di metterti davanti allo specchio e domandarti "Chi sono io?", "Chi sono veramente io?".
Beh, ma insomma, è ovvio, "sono Io!", ed a chi ti ribatte "io chi?" vorresti rispondere di farla finita con queste assurdità. Perché adesso è diventato fastidioso.

La principale difficoltà di una risposta che non sia banalmente "io" e che non si areni al successivo "io, chi?" risiede nel trattarsi di una domanda inconsueta, dall'effetto quasi imbarazzante, considerata ovvia. Eppure al contempo ovvia non è.

Se hai famigliarità con la psicoanalisi puoi facilmente attingere a suddivisioni della tua psiche del tipo Io/Es/Super Io. Puoi naturalmente preferivi suddivisioni di altri autori o di altri orientamenti. Si tratta però, a mio avviso, di avere glissato la risposta. Potresti allora rispondere che sei l'insieme di tali suddivisioni producendo così una risposta ricorsiva.

Non si tratta di una risposta semplice ma è foriera di conseguenze determinanti e non può, a mio avviso, essere elusa. La domanda pertiene lo stesso istinto di sopravvivenza: sopravvivenza di chi? Concerne un'istanza che la psicologia sociale ha dimostrato come prioritaria, la protezione della propria autostima: protezione dell'autostima di chi?
Che uno si sia o meno mai posto la domanda si sarà necessariamente dato, sia pure in modo passivo, una risposta ed a seconda di quale essa sia proteggerà ciò che, più o meno consapevolmente, riterrà essere se stesso.

La risposta tipica consiste nell'autodescrivere se stessi come l'insieme dei propri gusti, le proprie peculiarità caratteriali, i propri comportamenti. Raramente la risposta va oltre l'elenco delle caratteristiche della propria personalità. "Personalità", come anche "persona" deriva dal latino persōna, a sua volta sembra attraverso l'etrusco phersu ed il greco prósōpon, in tutti i casi col significato di "maschera".
Forse è solo uno spunto, eppure esso trova congruenza con tradizioni culturali da ogni parte del mondo. Accettando - quantomeno provvisoriamente - l'ipotesi la domanda diventa, "se la personalità è una maschera, chi è che la indossa?"

La risposta tradizionale (ovvero di suddette tradizioni) è che il tuo vero Essere "indossi" la maschera offertagli dalla tua personalità.

Una visione in qualche modo simile si ritrova anche in alcuna produzione letteraria o cinematografica contemporanea, come ad esempio in Matrix o Inception; come alla base del concetto di avatar di alcuni giochi. Questa similitudine viene talvolta sfruttata per liquidare come ingenui miti di popolazioni culturalmente inferiori le antiche tradizioni culturali. Sia pure che esse potrebbero essere ingenui miti, tuttavia volerlo dimostrare con un così puerile sillogismo è assai più ingenuo. Se esse siano o meno ingenue dovrebbe mostrarlo una messa alla prova di tali teorie, non certo argomentazioni così inconsistenti.

Ipotizza, per chiarire il concetto, un'analogia con un corpo che potendo indossare degli abiti, e dimenticandosi di sé stesso, si identificasse con l'abito indossato ritenendo di essere esso stesso l'abito e di possederne come connotati intrinseci le caratteristiche. L'analogia è assai calzante per quanto solitamente non accada di pensare di essere il proprio abito. Ciò poiché si ha memoria di un livello ad esso superiore: quello del proprio corpo che può scegliere e sfruttare quali abiti indossare. Se tuttavia questo livello fosse dimenticato?

L'identificazione con la propria personalità è tanto spontanea e diffusa quanto sbagliata e pericolosa. Spontanea e diffusa perché si ritrova nella maggior parte delle persone. Sbagliata perché te, come chiunque altro, non sei i tuoi gusti o le tue reazioni emotive più di quanto ognuno non sia gli abiti del suo guardaroba (lo diventi però se solo con ciò ti identifichi...!!). Pericolosa perché aderirvi produce l'effetto collaterale di rendere eventuali aspetti disfunzionali delle propria personalità difficilmente mutabili.

Chiunque abbia anche solo letto qualcosa sulle relazioni di aiuto conosce il concetto di resistenza al cambiamento (o di assenza di compliance). Il paziente desidera risolvere il disagio di cui è vittima ma vorrebbe che ciò accadesse mantenendo immutati gli aspetti della propria personalità (credenze, pregiudizi, comportamenti, reazioni emotive tipiche) anche quando uno di essi viene individuato come causa del disagio. Questa caparbia difesa di un aspetto così manifestamente deleterio ha una sua chiara spiegazione. Una volta  che il soggetto si è identificato totalmente e unicamente con la sua personalità proteggerne ogni suo aspetto equivale a proteggere se stesso. Se non si dispone di un livello superiore essa, la personalità, siamo noi e modificarla equivale a mutilarsi; perderla equivale a morire.

Ma chi sarebbe questo ipotetico tuo vero Essere? Un passo alla volta, occorre prima che la sua supposta esistenza sia da te testata. Un concetto e un modello di spiegazione della realtà non lo si giudica per simpatia/antipatia, né lo si adotta/rigetta aprioristicamente. Occorre testarne l'utilità euristica: tale ipotesi produce conoscenze epistemologiche? Un modo per rispondere potrebbe essere osservare la propria quotidianità da questa e da altre prospettive, confrontandone i frutti ottenuti. Se l'ipotesi produce, ai tuoi occhi, frutti interessanti, a quel punto, può essere approfondita.

"Ricordati di te!",

diceva G. I. Gurdjieff ai propri allievi nel secolo scorso.

4 commenti:

  1. Io sono l' "insieme delle mie idee".. e ancor prima di averne sono un "progetto". M. ;)

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    1. Ma.... Il progetto ha ricevuto l'autorizzazione dell'apposito ufficio....? ;-)

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Cred di sì .. per il fatto stesso di essere stato messo in atto è già stato autorizzato (mica la burocrazia è sempre come quella italiana!). :P Poi.. ognuno dà a quell' ufficio il nome che più gli aggrada ;)

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