25 gen 2013

Non giudizio


Dalla psicologia al guru di turno, da Rogers ad Osho, dal Cristianesimo allo Zen si parla di "non giudizio".
Difficile non avere letto o almeno sentito di questa raccomandazione. Altrettanto difficile è però non esserne stati turbati. A meno di averla letta in modo estremamente superficiale tale prescrizione sembra scontrarsi con il buon senso. Sembra raccomandare quella cecità intellettuale simile alla notte in cui, come diceva Hegel, tutte le vacche sono nere. Eppure basta trovarsi nella condizione di "giudicati" - ad esempio dal compagno o dalla compagna perché qualche aspetto di noi "non va bene" - per ritenere iniquo quantomeno il venire noi giudicati.

Le molte letture che ho fatto sull'argomento non mi hanno aiutato a sciogliere questa apparente contraddizione. Delle due l'una: o non le ho capite o non erano sufficientemente chiare. Probabilmente la prima, ma poco importa perché poi l'esperienza è riuscita dove avevano fallito i libri.

Ho osservato una cosa piuttosto ovvia - ma non per questo facilmente osservabile... - la valutazione mentale non è necessariamente collegata alla valutazione emotiva. Solitamente lo è, odiamo ciò che consideriamo sbagliato e amiamo ciò che consideriamo giusto. Consideriamo non solo che così naturalmente sia ma anche che così debba essere. Tuttavia per fortuna questa correlazione tra i due tipi di giudizio (mentale e emotivo) non si presenta sempre con la stessa intensità e, proprio grazie a questa diversa intensità, è possibile osservare gli effetti prodotti nei differenti casi.

La diversa intensità può naturalmente essere prodotta da molti fattori tra qui circostanze, stati d'animo, salute, impegni, ecc. Un fattore solitamente molto costante nel provocare una diversa intensità emotiva è tuttavia il coinvolgimento. A parità di valutazione mentale la reazione (giudizio) emotiva è usualmente più intensa con partner, genitori o figli che non con degli amici. Si può pertanto presentare l'occasione che una persona a noi strettamente legata svolga un'azione da noi considerata sbagliata e che la stessa azione sia svolta da un'altra persona cara ma non altrettanto intima. Non avremo presumibilmente la stesso tipo di reazione emotiva e presumibilmente ciò non produrrà nell'altro gli stessi effetti. Altrettanto possibile è osservare i diversi esiti prodotti su di noi dalle distinte valutazioni emotive ricevute dagli altri a parità di dissenso.

A distanza di pochi giorni ho avuto la fortuna di osservare queste due distinte situazioni.
Ho una cara amica con alcune sue credenze da me giudicate "bislacche" cui è capitato dicessi che "secondo me era grulla". Ho espresso una mia chiara opinione negativa (giudizio mentale) senza tuttavia mettere con ciò minimamente in discussione il mio affetto per lei con il mio comportamento non verbale (giudizio emotivo). L'effetto prodotto è stato un sorriso ed un abbraccio.
Nella stessa settimana una persona cui sono molto legato ha saputo che avevo ricominciato a fumare saltuariamente. La sua condanna mentale ha avuto piena espressione emotiva producendo freddo e distanza.

Un luogo comune afferma che si reagisca emotivamente quando "ci si tiene", per "amore" (...). Ma... ne siamo sicuri? Tanto la psicologia quanto il buon senso ci insegnano che anche per gli esseri umani vale la terza legge della dinamica: "ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria". E pragmaticamente mi sento di affermare che "giusto" sia ciò che produce gli esiti migliori. Neppure la pretesa di farlo per "insegnare" ha molta fondatezza poiché gli studi sull'apprendimento mostrano chiaramente come esso si fondi principalmente sull'imitazione. Più realisticamente all'aumentare del coinvolgimento non è l'amore che produce tale reazione bensì la paura (non per l'altro ma per noi, per la nostra autostima che avendola noi stupidamente legata a ciò che l'altro fa è da ciò messa in pericolo). Ed a meno di confondere platealmente due forze tanto opposte occorrerebbe prenderne atto.

Ecco quindi quello che non ho mai letto in un libro (o più probabilmente non ho capito...): la raccomandazione del "non giudizio" si riferisce al giudizio emotivo (chiusura del cuore) per il quale è sempre desiderabile l'accoglienza (apertura del cuore). Ciò non significa non avere opinioni e neppure non effettuare delle scelte. Se mi scontro con una situazione che non apprezzo posso benissimo avere ed esprimere una mia opinione discrepante e pertanto coerentemente evitarla, o se non possibile cercare di modificarla. Non per questo devo però anche manifestarle un giudizio emotivo conflittuale.

In assenza di tale distinzione "non giudizio" evocava per me anche e soprattutto non giudizio mentale. La mente tuttavia opera completamente attraverso classificazioni, comparazioni e valutazioni. Non giudicare mentalmente equivarrebbe a non pensare ed "il sonno della ragione genera mostri" non certo buoni risultati. Tutt'altra cosa è il giudizio emotivo!

Un ultima considerazione riguardo i tanti (troppi...) commenti pieni di odio nei confronti di politici, società, compatrioti o genericamente umanità, che affollano internet. Dissentire mentalmente con una qualsivoglia posizione non solo porta abitualmente ad esprimerlo con rabbia ma ciò viene perfino fatto passare come virtuoso. Si considera virtuoso "indignarsi" (...), ritenendo che tale espressione emotiva chissà poi come debba produrre un cambiamento positivo ed ignorando l'evidenza che l'unico suo concreto effetto sia "inquinare" il clima sociale. Nessuna lamentala ha mai migliorato il mondo! Come ho recentemente letto sulla foto di un graffito: "il mondo cambia con il tuo esempio, non con la tua opinione"....

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