26 giu 2019

Risposta a un transumanista



Lo screenshot dell'articolo cui questo post risponde
A seguito della lettura di un'intervista molto interessante con il fondatatore e presidente onorario dell'Associazione Italiana Transumanist, sento il bisogno di rispondere.

L'intervistato ha l'indubbio pregio di presentare una visione lucida e consapevolmente sfaccettata. Ho pertanto seguito con piacere il suo pensiero. Mi permetto tuttavia di criticare le conseguenze tratte poiché esse, a mio avviso e parafrasando l'autore stesso, sono "falsità, per ignoranza o malafede", per via dell'omissione dei più fondati timori sul transumanesimo. Ferma restante l'importanza dei timori prettamente ideologici, religiosi, o genericamente conservatori, cui Campa risponde egregiamente, ci sono almeno altri due aspetti inquietanti, non ideologici, ma intrinsecamente pertinenti dei "potenziamenti" che interagiscano in modo permanente con l'essere umano (che non vedo perché debbano essere indebitamente confusi con ogni progresso medico: un antibiotico, o un intervento chirurgico robotizzato sono ben altra cosa che, ad esempio, un innesto cybertecnologico).

In primis, ricorrere a "potenziamenti" (esterni o impiantati che siano) comporta l'atrofia sia della capacità (a livello cognitivo) che delle strutture (a livello neurologico, per via della neuroplasticità) precedentemente utilizzate per l'analoga funzione. Esempio filosofico ne è la dialettica hegeliana signore-servo; esempio storico la scomparsa della capacità di tenere a mente interi poemi conseguente alla possibilità di trascriverli; poi le delega perfino delle più basilari capacità aritmetiche alle calcolatrici; in tempi più recenti le diminuite abilità di orientamento ("tanto c'è Maps"...). Si potrebbe proseguire a lungo nel mostrare che ricorrere a dispositivi ausiliari potenzia sì la performance ma non il soggetto che ne perde l'autonomia, divenendo gradualmente dipendente da tali dispositivi. Se tali dispositivi sono implementati in modo permanente (ed è questo l'aspetto più peculiare del transumanesimo) svolgeranno costantemente la funzione cui sono dedicati, provocando nel soggetto sia la perdita di capacità di esecuzione autonoma (per i meccanismi di neuroplasticità, la zona cerebrale sarà reindirizzata ad altra funzione) sia la consapevolezza di tale atrofia funzionale. Naturalmente si può obiettare che sia benvenuta la ridestinazione funzionale di una struttura corticale, e poco importi la perdita della sua originaria funzione, se essa è svolta con maggiore efficienza da un dispositivo che, in quanto impiantato, possiamo sfruttare costantemente. L'ingenuità di tale obiezione perderebbe però di vista aspetti cruciali relativi alle tecnologie in questione che non sono ipotetici bensì concreti, inevitabili e attuali.

Innanzitutto la proprietà di qualsivoglia software, da cui ogni dispositivo inevitabilmente dipenderebbe, è sempre detenuta dall'azienda produttrice, che ne decide pertanto il comportamento anche dopo la vendita della licenza d'uso. Il soggetto non avrebbe pertanto voce in capitolo sulle modalità di funzionamento di un dispositivo diventato sua parte integrante e dal quale dipende per funzioni che al giorno d'oggi, sia pure con talvolta minore efficienza, è in grado di svolgere autonomamente. Anche nell'improbabile scenario in cui i software fossero interamente open source la possibilità di intervento sarebbe limitata ai pochissimi esperti competenti. Aspetti come la privacy sarebbero, come già adesso avviene, e le cronache ampiamente dimostrano, lasciati alla "buona fede" delle aziende, che troppo spesso "buona" non è affatto, e non esiste motivo di credere che in uno scenario di maggiore integrazione uomo-macchina, in cui i dati raccolti crescerebbero esponenzialmente, lo scenario potrebbe essere migliore. Ma questo potrebbe anche essere il minore dei mali, giacché talora una maggioranza della popolazione (o anche solo dell'élite in grado di fare la differenza) dovesse integrarsi con, e dipendere da, dispositivi tecnologici, le aziende produttrici deterrebbero inevitabilmente un indebito strapotere (poiché il trend legislativo sul tema è quello descritto e mancano i presupposti anche solo per ipotizzarne un'inversione; né serve prendere in considerazione tutt'altro che escludibili scenari illegali) sul modo in cui le funzioni che sono state delegate vengono svolte, siano esse aspetti percettivi, cognitivi, o motori.

Il primo aspetto (la perdita della capacità autonoma) è oggettivo, intrinsecamente legato all'uso di una tecnologia; certamente accettabile se limitato e reversibile (nei casi in cui il dispositivo è esterno), ma da non prendere con la stessa leggerezza quando non lo è (se è integrato e pertanto permanente). Il secondo aspetto potrebbe non occorrere, ma ad essere inevitabile è il rischio che possa accadere e la storia dovrebbe insegnarci che fin troppo facilmente chi detiene un potere finisce per sfruttarlo o abusarne. Davvero sono rischi da accantonare con siffatta leggerezza? In perfetto stile di bispensiero orwelliano, quello che viene spacciato per "potenziamento" a me sembra piuttosto contribuire a graduale istupidimento (l'analfabetismo funzionale, già adesso è in drammatica crescita), nonché al rischio (sia pure ipotetico ma non per questo da ignorare) di divenire come specie dei burattini tra le mani di chi potrebbe tenerne i fili.

Infine, i  "fan club" non generano la problematica no, ma contribuiscono alla sua diffusione. Diffusione inizialmente certamente volontaria e limitata a pochi, come l'accesso ai primi telefoni cellulari; cui in breve tempo tuttavia nessuno, nemmeno il più povero, sembra poter rinunciare, a meno di diventare un "novello Amish". Ma a che prezzo però? Non possedere una tecnologia che nessuno ha non comporta alcun danno; rinunciare a uno strumento di interazioni che pressoché tutti hanno comporta un almeno parziale esclusione sociale, soprattutto se sei giovane, cerchi un lavoro, un inserimento, una vita relazionale. Nell'esempio i telefoni cellulari offrono vantaggi reali; ma anche svantaggi come il calo della capacità attentiva, la vera e propria dipendenza da notifiche tristemente diffusa; gli incidenti per telefonate alla guida; e soprattutto percepiti come indispensabili non per virtù intrinseche bensì per l'altissima diffusione sociale. I veri Amish poi sussistono tutt'oggi, sì, anche perché le loro scelte non intralciano nessun altro; ben altra sorte è storicamente toccata in altri casi. Una visione del mondo che si propone di trasformare la società non riguarda unicamente i suoi sostenitori, come scegliere se essere o meno buddista. Tutt'altro! E personalmente, per quello che può valere, affermo un grosso "NO" a questa perigliosa visione.

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