PRIMA PARTE - PREMESSA
Ritengo che il concetto di "felicità" necessiti di alcune considerazioni. Osservo innanzitutto che esso è normalmente incluso tra i concetti che consideriamo "ovvi". Pensiamo cioè di sapere a priori cosa significhi essere felici. E questo è, come sempre, il principale ostacolo alla comprensione: non ci disturbiamo a valutare con più attenzione qualcosa che crediamo di padroneggiare già.
Ne risulta un'idea abbastanza vaga in cui, da una parte recepiamo acriticamente come portatori di felicità stereotipi sociali di ricchezza, successo, svago (o quant'altro..); dall'altra invochiamo un soggettivismo nel quale ognuno sia felice di cose diverse per motivi personali. Questa visione superficiale rende inutilizzabile un concetto altrimenti molto importante.
Partiamo invece dall'osservazione. Sembrano esistere almeno due diversi tipi di "felicità": quelli in cui siamo "felici" perché qualcosa va come riteniamo dovrebbe andare, e quelli in cui abbiamo una piacevole sensazione psicofisica, motivata (compresa) o meno che sia.
Ovvero: i momenti in cui crediamo di essere felici e quelli in cui lo siamo.
I primi sono proiezioni artificiali sulla nostra percezione della realtà (soddisfazione - termine più adeguato - per la conformità tra il desiderato e l'ottenuto), i secondi sono percezioni reali del nostro stato psicofisico in un momento di buon "livello energetico".
Intendo con livello energetico la constatazione della vitalità (energia appunto) o meno presente in noi in un dato momento. Questo dato, percepibile tanto da noi stessi quanto da un osservatore esterno si manifesta, se alto, come sensazione di benessere, il sentirsi vivi: la felicità.
Comprendere se siamo felici non è legato a cercare coincidenza tra i nostri (pre)giudizi ed il nostro vissuto; si tratta di "misurare" la propria vitalità.
Tale misurazione è attinente al singolo momento, confrontato ad un momento precedente e/o successivo. Si tratta di un processo nel quale la vitalità è prodotta, mantenuta o consumata. Eventi che consumano (Ad esempio quelli densi di euforia) sono sentiti felici solo in un'ottica di analisi che non percepisce l'intero processo.
Partendo da un parallelo con la misurazione della temperatura corporea è facile rendersi conto di quanti fattori possono falsare una corretta misurazione - muoversi, inserire il termometro in luoghi inadatti, non scuoterlo o farlo dal lato sbagliato, esporlo al calore, strofinarlo, romperlo... - similmente una corretta percezione di un dato così importante necessita di molte distinzioni ed accorgimenti.
Lo scopo qui non è tuttavia disquisire su come rilevare correttamente tale dato, bensì introdurre il concetto di felicità che definirei, riassumendo, come la constatazione che il livello di vitalità è alto.
L'importanza di tale dato risiede, a mio avviso, nel suo istintivo utilizzo come nord magnetico dei nostri impulsi. Cerchiamo istintivamente la felicità/vitalità che, effettivamente, rappresenta, quando ben rilevata, la migliore riprova empirica di quanto funziona su di noi (chiaro quanto avvenga invece falsando tale rilevazione...).
SECONDA PARTE - TESI
Adesso, dopo questa lunga ma necessaria premessa, vengo al corpo di questo post: il rapporto tra individuo felice e comunità felice, tanto prendendo la più piccola comunità possibile, la coppia; tanto la più vasta, l'umanità.
La tesi è che siano individui felici a realizzare una comunità (coppia, gruppo, società...) felice.
Non è ovvio come così enunciato potrebbe sembrare e tantomeno comunemente acquisito.
Prendiamo per comodità di esempio la coppia - tenendo tuttavia a mente quanto, nella tesi, le medesime relazioni valgano in ogni comunità. Avremmo che: individui felici, se costituenti una coppia, realizzano una coppia felice. Significa che la condizione necessaria affinché una coppia (o una qualsiasi altra comunità) possa essere felice è che gli individui che la compongono siano felici. In questa ottica sacrificare l'individuo per un ipotetico bene della coppia è semplicemente privo di senso, poiché inefficace.
Non intendo che non esista un'entità sovraindividuale chiamabile coppia (o società), intendo che essa è costituita di individui e "sacrificarne" la felicità in nome di un supposto beneficio di coppia è chimerico e fallace.
Tento di rappresentare il concetto mutuando elementi di matematica elementare. Prendiamo l'insieme oggetto di analisi (coppia, gruppo, società) e rappresentiamolo come l'unione dei sottoinsiemi Individui. Metaforicamente come una libreria (comunità) formata da più ripiani (individui). Ognuno di questi sottoinsiemi/individui/ripiani "contiene" felicità, rappresentabile in metafora da un valore numerico/libro.
L'insieme della felicità del gruppo - la quantità di "libri" - è dato dalla somma dei valori presenti in tutti i "ripiani". Una libreria esiste come concetto superiore a quello di ripiano, ma la sua ricchezza di volumi non può prescindere dal contenuto dei singoli ripiani...
Conseguentemente a tali considerazioni la "cura" per una comunità (coppia, gruppo, società) infelice risiede nell'accrescere la felicità dei suoi componenti. Ipotizzare di diminuirla in nome di una più alta "entità" è invece assurdo poiché tale "entità" detiene la felicità frutto della somma delle felicità individuali che se ridotte producono una somma inferiore in luogo dell'atteso ed irrealizzabile - con tali mezzi - bene comune.