8 apr 2010

Con le proprie gambe


- passo dopo passo, con le proprie gambe si arriva ovunque.

Fra tutte, questa frase, pronunciata da una compagna di viaggio, mi è rimasta impressa. Si applica ai viaggiatori, ai camminatori, ai pellegrini. Si applica anche, e soprattutto, alla propria vita. Riscoprirlo è forse il primo dei vantaggi di partire, zaino in spalla, per mete solitamente raggiunte in auto o in treno. Capita così che per fare duecento chilometri invece delle consuete due ore si impieghi una settimana, ma, con le sole proprie forze, si arrivi comunque. "Comunque", non "ugualmente", poiché nel farlo avremo conosciuto la strada e noi stessi.

Similmente, fermi alla stazione degli autobus della propria vita, attendendo quelli che non passano mai, che hanno gli orari impossibili o che sono troppo costosi per le nostre finanze, potremmo, invece che attendere, passo dopo passo, iniziare a camminare lungo la propria esistenza, scoprire che non sono indispensabili "treni", "auto" o "aerei". Forse perfino che, malgrado le apparenze, non sono neppure utili, visto che delegando ad essi il viaggio da artefici della propria vita si retrocede al ruolo di passeggeri.

Camminare assume così la doppia valenza, dimenticata ma da sempre conosciuta, di cammino tra strade, campi e foreste, e cammino attraverso la propria vita.
Al parallelo i viaggi si prestano ancora meglio delle escursioni. L'escursione è una piccola parentesi, affascinante e stimolante ma dal sapore più eccezionale; una dimensione artificiale tanto nella sua accezione concreta che in quella metaforica del parallelo adottato. Il viaggio è di ampio respiro, fino a diventare, come ci ricorda anche la letteratura (ogni testo non parla forse sempre di un "viaggio"?), la vita stessa. Compierlo a piedi, significa gustarne ogni tratto, conoscerne ogni particolare. Avremo "macinato" meno chilometri ma essi saranno così raffinati e gustosi da saziarci meglio.

Oggi, che non si cammina più per necessità, dei viaggi a piedi resta poco più che la tradizione dei pellegrinaggi. Partiamo pure da lì: siamo pellegrini! A dire il vero - lo insegna Dante e non voglio certo oppormi a lui su questioni linguistiche - i veri pellegrini sarebbero solo coloro diretti a Santiago, palmei e romei (come me nel breve tratto della mia esperienza...) andrebbero chiamati coloro diretti rispettivamente a Gerusalemme o a Roma.
Più utile di tali distinzioni ci sarà tuttavia ricordarsi che essere peregrinus - da per - ager (i campi), colui che non abita in città, ovvero che si rende straniero - sia una questione esistenziale prima, e di maggiore importanza, che una eventuale (per chi ama tale "sapore"...) questione religiosa o spirituale.

Il viaggio è la propria esistenza, che possiamo affrontare "comodamente" seduti su un bus granturismo ascoltando le descrizioni della guida; nella rapidità di un volo aereo con i relativi pasti; o nel sudore generato dalla fatica fisica e dal sole in fronte. Chi vorrà strada facendo gusterà i sapori della propria religione, oppure quelli del vino e della carne, della poesia, dello sport o di quant'altro un cammino disponga. Potrà farlo da solo, in coppia o in gruppo; potrà partire con amici o incontrarli strada facendo. Con ognuno di essi scoprirà che condividere il percorso offrirà l'occasione per sentirsi più simili, narrare le proprie storie o quelle udite anni prima in simili occasioni, offrire la ricette della propria regione insieme alle sfumature linguistiche, confrontare le strategie di vita, partecipare il cibo, i sorrisi e le energie.

Così si viene a sapere ad esempio di Ernesto, un tipo a me noto solo grazie a racconti di viaggio, che da cinque anni vive sul cammino di Santiago. Ha perso il lavoro, ha intrapreso il cammino e lì è rimasto percorrendolo in su ed in giù per chissà ormai quante volte. Lungo il cammino trova ospitalità gratuitamente e c'è sempre chi ne apprezza la compagnia e condivide il suo cibo. Potremmo, è vero, definirlo un "barbone" ma, sia pure prescindendo dal riflettere su tale condizione, volete mettere farlo camminando tra gente che ti accoglie e condivide con te o esserlo alla stazione di Milano difendendosi a stento dal freddo, dalle bastonate e dalle ingiurie? io lo tengo da parte come suggerimento nel caso in cui la vita dovesse smettere di sorridermi...

Al momento però, anche grazie a quanto offertomi da una splendida, seppur limitata, esperienza di cammino, la vita mi sorride. Dopo una giornata di cammino per valli, paesi e campagne; trenta chilometri a passo d'uomo; il sole, il vento e la pioggia sulla pelle; il corpo è soddisfatto, le emozioni sono vive e la testa è svuotata da ogni preoccupazione. Camminare si attua nel presente di un passo che segue l'altro: nel presente non c'è spazio per le preoccupazioni.

Resta forse da definire la meta, l'obiettivo, sia esso del viaggio quanto della vita: Santiago, Roma, Gerusalemme; o San Pietroburgo, Marrakech, Bolzano, Atene? Chissà? Dal viaggiare si apprende però che il viaggio è più importante della meta. Perché non ricorrere quindi ad un vecchio detto zen: "se non sai dove andare, intanto inizia a camminare".

Un caloroso abbraccio ai miei compagni di viaggio, presenti, passati e futuri.

4 commenti:

  1. Un apparente paradosso del "se non sai dove andare intanto cominica a camminare" sta nel fatto che quando ci sembra di stare fermi in realtà il nostro viaggio continua, per via dell'inesorabile scorrere del tempo e mutamento degli aventi. Però, lo stesso paradosso sembra decadere di fronte a quel "comunque e non ugualmente", perchè la differenza sembra stare nel mezzo utilizzato: un percorso lo si può fare con le proprie gambe oppure da passeggeri. Io credo che ognuno di noi percorra il proprio viaggio alternandone i mezzi, in dipendenza delle energie che possediamo in un determinato momento. Una gran bella riflessione sulla vita.

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    1. La differenza tra il mezzo utilizzato è, sì, innanzitutto qualitativa. Si tratta di un mezzo attivo o passivo? Lo viviamo a pieno o ci lasciamo trasportare?

      Un'altra domanda emerge tuttavia dalla distinzione:
      sai dove stai andando?

      I ritmi lenti di un cammino offrono - e richiedono - di verificare spesso il percorso, di guardare la mappa, di chiedere informazioni, di ascoltare le proprie reazioni al nuovo percorso, di scegliere ad ogni bivio, di essere ben consapevoli della propria meta... Chi sbaglia, dovrà tornare sui propri passi, ed imparerà presto ad evitarlo.

      Alla "fermata dell'autobus", sei certo di dove ti porterà il mezzo che stai aspettando? Sei certo che il nome del luogo che appare sul display, e dove molti sembrano interessati ad andare (a giudicare dalla calca in attesa...) sia presagio di felicità?

      Oppure, imboccando l'autostrada della tua vita, avrai modo di "annusare" la strada, di comprendere se quella è realmente la destinazione che vuoi raggiungere?

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    2. Credo, per l’appunto, che fa parte del viaggio anche l’effettuare il percorso a stadi alterni, sia passivamente (nel momento in cui si sale su di un mezzo e ci si lascia trasportare) che attivamente (nel momento in cui si decide di camminare con le proprie gambe). In entrambi i casi si può essere consapevoli di dove si sta andando, tanto che si utilizzi un mezzo, quanto che si stia camminando; come pure, in entrambe le ipotesi è possibile non conoscere la meta o non sapere dove si vuole andare, sbagliandone il percorso. In entrambi i casi si può tornare indietro, ricalcando i propri passi o utilizzando un altro mezzo. Ad ogni modo, concordo sul fatto che un percorso lento ti possa far assaporare maggiormente aspetti del viaggio che forse su di un mezzo sarebbe difficile cogliere nella loro pienezza. Sciocco sarebbe chi scegliesse di salire su di un mezzo con l’ illusoria idea che la scelta dei più sia quella ragionevolmente migliore. Se una volta saliti su di un “autobus” (come qualunque altro mezzo) il display presentasse un bug, beh.. in tal caso si incorrerebbe in una attesa che viene disattesa. Ma anche questo fa parte del viaggio: non si può dire di averlo vissuto appieno se non si è mai sbagliato percorso e non ci si è sbucciati almeno un po’ le ginocchia. O forse sbaglio?

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