26 mag 2010

Proiezioni e percezioni.


"La realtà non è ciò che ci accade ma ciò che noi facciamo con quel che ci accade."
Aldous Huxley.


Gli eventi accadono. Chiamiamo ciò realtà e raffiguriamocela metaforicamente come una stazione trasmittente. Noi la riceviamo attraverso i sensi, interpretiamo il segnale e lo decodifichiamo. Così funzioniamo.
Come però interpretiamo il segnale e lo decodifichiamo? Quanto ciò che appare sui nostri schermi mentali assomiglia alla realtà?

Solitamente assai poco...
Per restare in metafora riceviamo un segnale fortemente disturbato. Questo perché su ogni accadimento proiettiamo un filtro interpretativo figlio dei nostri desideri, le nostre paure e le nostre abitudini.
Guardiamo tutto attraverso questo filtro e la realtà è da esso inevitabilmente deformata.

Parliamo con una persona, la guardiamo, ma non la vediamo, poiché, proiettandogli sopra un nostro filtro interpretativo, in luogo di essa vediamo quanto tale filtro ci restituisce. A seconda di quale ruolo intercorra noi interpretiamo l'altro attraverso la corrispondenza o meno a quel mix di fantasie ed abitudini che quel ruolo evoca in noi. Tale persona diventa così ai nostri occhi fantastica o terribile, interessante o stupida. Eppure niente o quasi ci è arrivato di come egli effettivamente sia.
Non vediamo gli altri: interagiamo con le nostre proiezioni.

È Ignorando ciò, o dimenticandolo, che si rimane così invischiati nelle nostre proiezioni da fare agli altri cose che mai lucidamente ci sogneremmo di fare... In difesa di una posizione "assolutamente certa" massacriamo qualcuno di cui vediamo di fatto solo una rappresentazione illusoria. Tanto i "piccoli" massacri quotidiani tra persone che affermano di volersi bene, che le grandi guerre.

Per quanto triste potrebbe sembrare normale fraintendere la vera natura di una persona fisicamente e culturalmente distante, tuttavia sono le persone più intime quelle che conosciamo meno. È su loro che proiettiamo maggiormente aspettative, pregiudizi, sogni, fantasie, timori, abitudini.

Due persone consapevoli e memori di ciò potrebbero forse andare oltre ma diversamente ciò è impossibile. Camuffiamo a noi stessi tale meccanismo adornandolo con parole ridondanti di amore, dignità, onestà, ecc. L'amore esiste ma è cosa ben diversa. Viviamo nella gabbia delle nostre proiezioni.

Occorre conoscere se stessi poiché è in noi che risiedono i filtri che proiettiamo all'esterno. Osservarsi, prendere consapevolezza degli automatismi. Rischiamo tuttavia facilmente di credere che osservarsi sia analizzarsi ma non è così, è creare un testimone che si renda conto delle nostre fantasie, al di là di un giudizio o una critica, semplice presenza. Conoscendo le nostre dinamiche possiamo conoscere un po' i filtri, apprendere caso per caso che quella sensazione che stiamo provando è figlia delle nostre proiezioni, non deriva dall'esterno. Saperlo attenua le proiezioni e consente, forse, di aprire alla percezione della realtà e degli altri.

Principalmente è una questione di sincerità, la più difficile di tutte le cose... Occorre tanto coraggio per essere sinceri.... la sincerità è ostacolata dal terrore di ferirsi. La constatazione di tali dinamiche (poiché si tratta di constatare, non di credere o argomentare) rischia inoltre facilmente di fare scivolare nella più grande delle bugie, quella "spirituale", creando un filtro ancora più solido.

La realtà affrontata senza filtri abbaglia, spiazza, meraviglia, appare ogni volta nuova. Ciò ci spaventa e spinge ad ancorarsi a delle "certezze". Ma solo togliendo i filtri vi è una possibilità di percepire il segnale che la realtà ci trasmette.

Sto ripulendo la "radio".
Non so ancora bene come si faccia ma ho constatato che non si può percepire finché si proietta.

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