5 lug 2013

Obiettivi e mezzi


In quale relazione stanno gli obiettivi perseguiti con i mezzi utilizzati?

Spesso ho risposto - contestando il celebre "il fine giustifica i mezzi" - che quello che conta sono i mezzi in se stessi e che nessun fine giustifica dei mezzi sbagliati. Confermo la sostanza di questo messaggio. Eppure mi rendo conto adesso che, nella forma, a meno di fare un passaggio spesso solamente implicito, qualcosa non torna. Abbiamo bisogno dell'immagine di un obiettivo che ci fornisca la motivazione necessaria: la motivazione dirige l'attenzione - con essa l'impegno - e condiziona ogni possibilità di riuscita. Per questo non può bastare una generica affermazione sui mezzi, che non li integri nella formulazione dei fini.

Tentando quindi di conciliare mezzi e fini, un primo passaggio può consistere nel modellare il fine sui mezzi sentiti come corretti: una sorta di copia-incolla dei mezzi nella casella "fine", per poi "declinarne" il contenuto nella forma adeguata alla casella mentale. Tuttavia la "declinazione" richiede la conoscenza di "regole grammaticali" e di esempi sul loro utilizzo. Per questo guardiamo spesso al "come fanno gli altri": la scelta più comune offre il vantaggio di essere "grammaticalmente" corretta. Non è detto che sia giusta nelle finalità, né nei vantaggi/svantaggi che apporta, ma è corretta quanto alla forma con cui esprimiamo gli obiettivi.

Il rilievo dato all'importanza della forma di un obiettivo non è eccessivo. Poiché possiamo sfruttare come guide del nostro comportamento (o della nostra vita, salendo di piano) solo obiettivi capaci di attivare la nostra motivazione. Ovvero quelli che hanno la forma cognitiva capace di attivarla. Giusto per fornire un esempio, basta notare che si è motivati da immagini che gratificano la propria autostima, mentre non lo si è da altre che la lasciano immutata. Semplificando, senza approfondire i tanti altri aspetti, si può dire che un obiettivo è riconosciuto come tale se formato nel rispetto delle "regole grammaticali" che lo rendono cognitivamente capace di attivare i circuiti motivazionali.

Il primo tentativo di integrare le sensazioni che ci danno mezzi diversi (ad esempio, ascoltare pazientemente o urlare) con dei fini, ad esse coerenti, rischia così un conflitto di compatibilità con le finalità che sentiamo "ben confezionate", ovvero simili a quelle diffuse (fare carriera, avere una bella macchina, dei figli, o altro). Cerchiamo di formulare un obiettivo, ma se ci vengono in mente solo obiettivi non conciliabili con i mezzi che sentiamo migliori, urge un compromesso:  "il fine giustifica i mezzi". Non si può vivere senza un obiettivo. Se non si riesce a confezionarne un altro, si deve difendere ad oltranza quello di cui si dispone.

Facilmente si produce quindi un effetto retroattivo sul modo in cui i mezzi vengono sentiti: la loro percezione diretta viene sostituita con il grado di presunta utilità al fine. Ad esempio: un enfasi aggressiva, che sarebbe facilmente riconoscibile come "sbagliata" (controproducente), può essere valutata come positiva se si ritiene che ci avvicini all'obiettivo di ottenere l'amore del partner. Per lo più naturalmente non funziona (da semi cattivi possono svilupparsi solo erbacce...), malgrado ciò prenderne atto riporterebbe cognitivamente alla difficoltà di conciliare i mezzi con il fine: più semplice ignorare l'evidenza, come spesso accade.

Esistono tuttavia alternative "grammaticalmente corrette", e quindi adottabili, ai paradigmi dominanti. Nonché ai conseguenti "compromessi" sui mezzi che, nell'illusione di servire un fine positivo, producono una realtà negativa.

La metafora più chiara credo possa fornirla l'Arte. Un'opera d'arte percepita come bella (allo stesso modo di un fine percepito come funzionante) rispetta, spesso implicitamente, "un'armonia grammaticale". Una persona comune, vissuta nell'Europa occidentale di fine Ottocento, avrebbe considerato come unica possibile espressione pittorica il figurativo. Alcune importanti evoluzioni dal figurativo classico erano già avvenute per mano di molti artisti, ma non erano ancora trasformazioni radicali, ed in ogni caso per quanto cronologicamente già avvenute erano ancora lontane dall'essere state assimilate dalla sensibilità media. Nel 1907 Picasso dipinge Les Demoiselles d'Avignon ed inventa il Cubismo. Pochi anni più tardi Kandinsky darà vita all'Astrattismo. In poco tempo le Avanguardie artistiche del Novecento offrono agli artisti coevi tanto la scelta tra numerose alternative pittoriche, quanto la consapevolezza che creare altre forme espressive, capaci di altrettanta - se non maggiore - armonia, è possibile. Gradualmente anche parte del pubblico si renderà conto di ciò.

Con questa metafora intendo suggerire che le alternative sono spesso possibili. Per trovarle, quale che sia il campo di indagine, occorrono coraggio (l'apertura mentale al cambiare i propri "dati"), cultura, fantasia, sensibilità; qualità che interagiscono tra loro, alimentandosi o reprimendosi a vicenda. Il coraggio è necessario per intraprendere la ricerca e per confidare che se qualcuno nella storia ha saputo trovare un'alternativa, allora le alternative esistono. La cultura serve a conoscere le alternative già sviluppate e quindi disponibili; ma anche a fornire ispirazione alla fantasia, giacché ogni grande artista lo è diventato sfruttando anche le influenze ricevute. La fantasia è necessaria per combinare creativamente queste influenze. La sensibilità, alla qualità dei mezzi ed alla "grammatica", è indispensabile a creare alternative dotate di armonia.

Nelle opzioni sociali valgono principi simili. Vige un paradigma dominante, con piccole - spesso insignificanti - variazioni sul tema. Avere una carriera, una famiglia, un'auto, eccetera, è accettato come obiettivo (di alto livello: di vita) indiscutibile. La "libertà" (...) consiste nello scegliere il colore dell'auto o la destinazione per le vacanze. Le "Avanguardie" sono lungi dall'essere di moda, il loro posto è semmai usurpato dalle sciocchezze New Age. In assenza di alternative considerate accettabili ogni mezzo è lecito per raggiungere l'obiettivo: poiché non raggiungerlo significa fallire, rinunciarvi significa rimanere senza scopo. Le alternative sono però possibili: servono il coraggio di guardare oltre le opzioni "confezionate" (anche quelle del guru di turno); cultura (su antiche tradizioni, Arte, scienze); fantasia creativa; tanta sensibilità.

Vale la pena pertanto di indagare alternative compatibili con dei mezzi "buoni", in luogo di giustificare mezzi "cattivi" perché incapaci di individuare dei fini più nobili.

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