19 apr 2020

Psicopandemia



Immagino che il titolo abbia già sufficientemente irritato il lettore medio, pertanto mi accingo subito a spiegarmi. Chiedo agli scettici di attendere almeno la lettura delle argomentazioni del secondo paragrafo, dove riassumerò brevemente il funzionamento di alcuni principi cardine della metodologia della ricerca scientifica, prima di rigettare del tutto l’ipotesi. Inizialmente però vi chiedo un piccolo sforzo immaginativo per semplificarne l’esposizione.

Un piccolo sforzo immaginativo

Avete presente quando d'inverno siete malati, rientrate a casa febbricitanti, il raffreddore vi ostruisce il respiro, tremate tutti e durate fatica a fare quei passi che vi separano dal letto? Siete accolti dai vostri cari che si rendono disponibili a prepararvi qualcosa di caldo, vi informano che "si sa che è in giro in questo periodo", vi rassicurano che comunque in qualche giorno farà il suo corso, ed al telefono il vostro medico vi conferma le stesse cose. Vi rannicchiate nel tepore delle vostre coperte, ricordando le tante volte che vi è già successo e che per quanto spiacevole sia stato è comunque sempre passata senza grossi traumi.

Ora vi prego di ricordare invece dei momenti, o addirittura dei periodi, caratterizzati da un'intensa disperazione, da un profondo spavento, o da una forte rabbia. Potete averli vissuti in prima persona, o anche esserne stati semplici osservatori. Quali sono gli effetti di una tale emotività esasperata sulla regolarità del battito cardiaco, sulla capacità respiratoria? Ricordate la tachicardia, l'iperventilazione, come pure il blocco del respiro, l'ipoventilazione, insieme alla sudorazione ed alle altre alterazioni somatiche emotivamente mediate?

Poniamo che come nella prima scena tornate a casa febbricitanti e raffreddati, in giorni in cui vi è stato detto che a giro c'è un virus che provoca tali sintomi ma il cui esito è con preoccupante probabilità fatale. Come nel primo caso vi sentite male, forse molto male, ma invece che sentirvi rassicurati siete spaventati. Come voi molte altre persone, diversamente da quanto avrebbero fatto con gli stessi sintomi in un altro periodo, chiederanno aiuto, si riverseranno negli ospedali o, se sarà stato loro detto di non farlo, chiameranno insistentemente i propri medici. In entrambi i casi il personale sanitario sarà preso d'assalto, faticherà a soddisfare le richieste, vivrà una crescente pressione. Forse sareste tra quelli a cui farebbero un tampone e nell'attesa del risultato lo spavento aumenterebbe. Quale che sia l'affidabilità dei test, benché (almeno inizialmente) non ancora scientificamente dimostrata, voi potreste risultare positivi ed in tal modo sia voi, sia il personale ospedaliero, sareste letteralmente terrorizzati.

In un tale scenario, già debilitati da sintomi febbrili e respiratori, vivreste a pieno l'emotività provocata dall'avere ricevuto tale diagnosi e simile possibile prognosi. Che effetto credete che avrebbe sulle vostre capacità cardiache e respiratorie? Credete che potrebbe mancarvi l'aria? Molto probabilmente voi, come centinaia, poi migliaia, di persone che al contempo vivono la stessa situazione, mostrereste un aggravamento dei sintomi, forse anche solo per il sommarsi dei sintomi iniziali con gli effetti somatici dello spavento che state vivendo. Il personale medico osserverebbe un peggioramento congruente con quanto clinicamente atteso. Anche se un medico dovesse ancora avere qualche dubbio, si accollerebbe la responsabilità di non avere agito o varrebbe il principio di precauzione? Sareste così isolati dai consueti legami con persone o cose per voi familiari e dal calore umano derivante, vi informerebbero che la vostra situazione si sta aggravando, forse è già molto grave e il vostro spavento raggiungerebbe il parossismo. Veramente non credete che potreste letteralmente "morire di paura"? Sicuramente tanto gli ospedali, quanto le terapie intensive, come tutto il personale sanitario sarebbero sovraccarichi e messi a dura prova.

Questa è un’ipotesi certo, da verificare come ogni altra ipotesi, nondimeno è scientificamente possibile. Disponiamo di un’enorme mole di evidenze che negli ultimi decenni hanno inequivocabilmente dimostrato che forti stress e intense emozioni per un periodo prolungato possono provocare risposte fisiologiche e somatiche di grande importanza. Discipline come la psiconeuroendocrinologia, (ma non solo) ne hanno chiaramente mostrato la portata in ambito scientifico e accademicamente riconosciuto. Malgrado ciò raramente tali evidenze vengono prese in considerazione nella prospettiva da cui vengono analizzati eventi come quelli attuali. Se una qualche influenza fosse tuttavia in atto nel caso in questione, trascurarne l’ipotesi provocherebbe quello che la ricerca chiama un errore sistematico. Se l’ipotesi posta verrà presa in analisi come possibile fattore interveniente, potrà allora essere confutata, o supportata, scientificamente, ma ignorarla non è scientifico.

Credo tuttavia che per comprendere davvero questa affermazione sia necessario ricordare – o per chi ne è digiuno spiegare – alcuni dei principi alla base dell’epistemologia, ovvero dello studio della metodologia scientifica.

Principi di epistemologia

Il primo principio che quasi tutti sapranno è che la conoscenza scientifica deriva da osservazioni condotte rispettando specifici criteri e soprattutto dai risultati di esperimenti. In estrema semplificazione le osservazioni possono evidenziare la correlazione tra due fenomeni (ovvero il loro manifestarsi in modo direttamente o inversamente proporzionale), mentre gli esperimenti manipolano deliberatamente un fattore al fine di rafforzare o meno l'ipotesi che esso sia causa, o concausa, di uno specifico effetto. Così semplificato sembra semplice, ma non lo è affatto, poiché per sperare che i dati osservati non siano puramente casuali, o piuttosto dovuti a cause ben diverse da quelle ipotizzate, occorre che siano scrupolosamente rispettate moltissime condizioni.

Tra le principali condizioni affinché si possa parlare di conoscenza scientifica è innanzitutto necessario porre attenzione al plurale: "osservazioni", "esperimenti". La motivazione dovrebbe essere nota ma in ogni caso è facilmente spiegabile tramite un esempio: gli effetti sulla salute del fumare sigarette. Un ricercatore che si basasse su un singolo soggetto fumatore potrebbe incontrarne uno che ha sviluppato un tumore ai polmoni, ma anche uno che appare invece in perfetta salute. Per questo gli studi si svolgono su gruppi di soggetti, al fine di ridurre la probabilità che l'effetto riscontrato sia l'eccezione e non la norma. Se però il gruppo fosse troppo omogeneo, ad esempio tutto composto da soggetti giovani o anziani, l'effetto potrebbe essere sotto o sovradimensionato, motivo per cui la sua composizione dovrebbe essere il più possibile casuale (randomizzata). Anche così tuttavia uno studio potrebbe essere falsato da fattori non considerati, ad esempio i soggetti potrebbero risiedere tutti in zone ad alto inquinamento, fattore che potrebbe spiegare meglio del fumo gli effetti riscontrati. Con simili argomentazioni l'industria del tabacco ha potuto difendersi per decenni dalle accuse che i suoi prodotti fossero nocivi, ed unicamente il ripetersi di risultati congruenti in moltissimi studi tra gruppi disomogenei ha portato a rendere poco credibile l'ipotesi che il fumo non fosse nocivo.

Arriviamo ad un altro principio su cui è necessario soffermarsi: il valore scientifico di una ricerca dipende da quello che viene chiamato il suo disegno di studio. In parole semplici dall'osservazione (studio osservazionale) di un fenomeno in una popolazione si possono rilevare unicamente delle correlazioni. Affinché sia metodologicamente corretto inferire delle relazioni di causa effetto è necessario che i fattori che ipotizziamo essere causali siano manipolabili (studio sperimentale), senza al contempo intervenire su altri possibili fattori non oggetto di ipotesi che resterebbero nascosti all'analisi ma non per questo privi di effetto (errore sistematico). Ciò è relativamente semplice in discipline come la fisica, ma piuttosto complesso con soggetti umani, oltre che in taluni casi non eticamente consentito. Nessuna commissione etica autorizzerebbe ad esempio l'iniezione di un patogeno su un gruppo di soggetti umani (anche se oggi c’è chi, novello Mengele, ha proposto di farlo...), pertanto ciò viene fatto su modelli animali che, per definizione, permettono di ipotizzare che gli effetti riscontrati siano simili anche nella nostra specie ma non possono escludere che siano (per l'appunto) specifici. Esperimenti su soggetti umani sono comunque possibili talora gli effetti non siano pericolosi, o nei casi in cui chi è chiamato ad autorizzarli abbia fiducia siano compensati dalla concreta possibilità di scoperte così importanti da giustificarli.

Ci avviciniamo al punto. Nei casi in cui la sperimentazione umana è consentita, ad esempio il confronto tra gli effetti di due farmaci, o di un farmaco nei confronti di una sostanza inerte (placebo), un disegno di studio è ben fatto se prevede che sia formato un ampio gruppo di soggetti, tra loro il più possibile disomogenei, tranne che per la comune condizione oggetto di studio, che i soggetti siano suddivisi casualmente in due o più sottogruppi sottoposti a condizioni diverse, e che né i soggetti né gli sperimentatori sappiano per tutta la durata dell'esperimento a quale condizione i primi appartengono. Quest'ultimo aspetto prende il nome di "doppio cieco", è volto ad eliminare il potere delle aspettative, anche di quelle mediate dall'atteggiamento dello sperimentatore e eventuali pregiudizi nell'analisi dei dati. In ambito sperimentale la prassi è consolidata in tutti i casi in cui sia applicabile, poiché chi studia la validità dei risultati ottenuti scientificamente è perfettamente consapevole che diversamente c'è un alto rischio di alterare, o addirittura falsificare, i risultati ottenuti.

Sappiamo con certezza che ritenere di appartenere ad un gruppo da cui l'ipotesi di ricerca si aspetta che ci siano miglioramenti, o perggioramenti, altera sensibilmente i risultati. Sebbene non si sappia con altrettanta certezza a quali fattori ciò sia dovuto. Tra le ipotesi: aspettative consapevoli e/o inconsce potrebbero influenzare comportamenti protettivi o nocivi; meccanismi psiconeuroendocrinologici legati ad esempio allo stress potrebbero avere ricadute fisiologiche; come pure tali effetti potrebbero essere mediati dal microbiota. Sia chiaro, si tratta di meccanismi di azione somatica oramai riconosciuti dalla scienza ufficiale, i dubbi riguardano quali meccanismi e in che misura intervengano nel caso in questione, non se tali meccanismi siano in grado di determinare effetti fisiologici di grande rilievo. Potremmo perfino immaginare che sapere a quale gruppo si appartiene alteri i risultati osservati attrevarso l'ipotetica esistenza di un analogo macroscopico del collasso quantistico della funzione d'onda. Ma il punto in questione non è perché il ritenere di fare parte di una condizione di studio o di un'altra abbia effetti enormi, bensì rilevare che così è, e che la scienza lo sa così bene da prescrivere che debba essere fatto di tutto per impedirlo affinché i dati raccolti siano considerati oggettivi.

La situazione attuale

Giungo al punto. Se – ed indubbiamente è così per la scienza – in ambito medico le aspettative dei partecipanti ad un esperimento sono in grado di influenzarne gli esiti, come può la scienza pensare che le informazioni trasmesse dai media non abbiano effetti sugli esiti di un'infezione virale in una società? In termini epistemologici è in atto la manipolazione di un fattore interveniente. Tralasciamo pure se questa manipolazione sia e sia stata volontaria o involontaria (riflessione da porsi semmai in seconda battuta), l’essenziale è vederne l’esistenza, poiché altrimenti ogni esito ne sarà viziato.

La quotidiana esperienza clinica ospedaliera naturalmente non è un esperimento, poiché manca delle condizioni imprescindibili per esserlo. Nondimeno l’interpretazione scientifica dei dati raccolti è soggetta ai bias che sappiamo essere potenzialmente in atto in ogni osservazione non strettamente naturalistica, ovvero quella in cui l’osservatore non ha interazione alcuna con l’osservato. Unicamente nel caso in cui, ad esempio, un soggetto sia osservato tramite telecamere di cui ignora l’esistenza, e sia lui sia il suo ambiente non interagiscano in alcun modo con l’osservatore si può presumere che i dati raccolti non siano alterati. In tutti gli altri casi è indispensabile interrogarsi se e in che misura le scelte sociali possano avere influenzato quello che in loro assenza sarebbe stato il naturale svolgersi di un evento.

A mio avviso nella situazione attuale le scelte intraprese hanno influenzato enormemente l’esito dell’infezione virale in corso, in modo tutt’altro che positivo. Credo che gli esiti, anche quelli strettamente clinici, avrebbero avuto un decorso ben diverso se gli eventi non fossero stati accompagnati dal macabro ritmo incessante dei tamburi mediatici. Ho esposto le argomentazioni scientifiche che legittimano la mia convinzione. Esprimendola certo non mi attendo di convincere nessuno, mi limito ad auspicare la nascita di un dubbio. I dubbi, e non i dogmi, sono, sono sempre stati e sempre saranno, gli unici e veri semi del pensiero scientifico.


Dott. Benedetto Tangocci, Psicologo.

2 commenti:

  1. Bellissimo articolo,un pensiero che condivido davvero.
    Grazie

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  2. Buongiorno,
    ho seguito il video postato dal canale Youtube "Dentro la Notizia" in cui lei si faceva portavoce del comunicato di allarme firmato da 700 psicologi sugli effetti della gestione dell'emergenza covid-19. Ho pensato che le istanze espresse in quell'occasione abbiano messo in luce, per la prima volta in modo completo, la reale portata dei danni psicologici di quelle politiche e da lì ho iniziato a seguirla, approdando a questo blog.
    La contatto perchè mi ha colpito l'ultima frase di questo suo articolo "I dubbi, e non i dogmi, sono, sono sempre stati e sempre saranno, gli unici e veri semi del pensiero scientifico", e mi piacerebbe, con il suo permesso, utilizzarla come citazione in una comicstrip sul mio blog (ongheu.blogspot.com - tag: "ricostruzioni").
    Ovviamente, in caso di consenso, intendo citare il suo nome e questo suo articolo ovunque la mia vignetta verrebbe pubblicata o condivisa. Vorrei anche specificare che questo lavoro si collocherebbe all'interno di una serie, che sto disegnando questo mese, liberamente ispirata al progetto de l'Eretico (https://www.leretico.org/).

    Cordiali saluti,
    Alice Lazzari, blogger e insegnante
    alicezlazzari@gmail.com

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